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Melius Club

Lo Stato Del Vinile [Parte Seconda...]


Messaggi raccomandati

Inviato

Tra l'altro di The Harrow And The Harvest è uscita recentemente la terza ristampa.

Ci camperanno molto con quel disco alla Acony.

 

Alberto.

  • 1 mese dopo...
Inviato

 

Per lo Stato Del Vinile si continua con un altro aggiornamento, questa volta però non molto aggiornato.

Infatti il disco di cui parlerò è del 2018, quindi arrivo un po’ in ritardo, ma io l’ho acquistato solo pochi giorni fa.
Stefano Bollani – Que Bom – (Alobar Records – 2018)

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Torno quindi a trattare della nostra gloria tricolore in ambito jazzistico, l’unico jazzista italiano ad avere una fama davvero internazionale.

Que Bom esce esattamente a 10 anni di distanza da Carioca, che avevo presentato nello Stato Del Vinile andato in fumo. Carioca è il primo lavoro di Stefano Bollani dedicato a ciò che per quanto mi riguarda è patrimonio dell’umanità: la MPB, vale a dire la Musica Popolare Brasiliana.

Mentre nel 2008 Bollani rivisitava la musica brasiliana dei brasiliani (Chico Buarque, Zequinha De Abreu, Nelson Cavaquinho, ecc.), nel 2018 il pianista presenta la propria visione di musica brasiliana, dei 15 brani presenti in Que Bom firmandone ben 13. Sarà riuscito ad eguagliare il notevole Carioca? No, ma ci è andato vicino.

Que Bom è certamente un gran bel disco, e le musiche uscite dalla penna di Bollani sono da me quasi tutte promosse, per ritmo, melodia e vena malinconica, la quale vena è più italiana che brasiliana, e potrei definirla saudade italo-brasiliana. Ho scritto “quasi tutte” perché per Uomini e Polli ho qualche dubbio, trovando detto pezzo un po’ ripetitivo e poco incisivo.

Ma non ho finito con i complimenti; rispetto al vinile singolo Made In Eu di Carioca, stampato discretamente bene, la stampa tedesca dei due 180 grammi di Que Bom è eccellente, ed i dischi non fanno quasi alcun rumore.
Pallas? Optimal? Secondo me la seconda che ho detto.
Anche la registrazione merita un voto alto, risultando meno in avanti e più ambrata rispetto a quella di Carioca (che in ogni caso è un’ottima registrazione).

Tipico è lo stile di Bollani in Que Bom, stile rapido e luminoso, con i frequenti stop-and-go che sono un po’ il suo marchio di fabbrica. Non ho ravvisato quella tendenza a giocare con le note, un po’ fine a se stessa, ascoltata talvolta dal vivo. Anzi, in Que Bom, il pianista dosa con attenzione ed eleganza ogni intervento. Vi è spazio infine per la voce di due ospiti d’eccezione: Caetano Veloso e João Bosco.

Bollani, come dieci anni or sono, si mette nelle mani di musicisti, studio di registrazione e tecnici brasiliani, che quando si parla di musica brasiliana è la scelta più intelligente.

La confezione, ovvero copertina doppia dalla finitura rugosa, dominata dai colori pastello, e buste interne di colore nero, foderate col polietilene, mette KO quella di Carioca, invero molto basica.

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Devo però evidenziare un errore nell’elenco dei brani sul retro della copertina:

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L’errore consiste in questo: i brani indicati come lato B, si trovano in realtà sul lato C e viceversa.

Cosa dite, glielo perdoniamo?

Massiiiii...

 

Voto artistico: 8 ½

Voto tecnico: 8 ½

Alberto.

 

  • 10 mesi dopo...
  • 10 mesi dopo...
Inviato
Il 25/2/2024 at 15:58, OTREBLA ha scritto:

Ma come ragionano questi della Tone Poet? I dischi così così con la Stoughton doppia e quelli stra-belli con la Stoughton economica?

Hai ragione. Il vinile e’ perfetto, per fortuna,  ma anche a me la copertina da’ un’idea di economicità che non ho mai trovato nei precedenti Tone poet (ne ho una quindicina).

Inviato

Esatto, proprio un senso di ricercato risparmio. Naturalmente non è così, lo so bene. Probabilmente non disponevano di fotografie da inserire all'interno. Peccato però, io avrei pensato a qualche soluzione alternativa, considerato il valore del disco. Non so, ricorrere a fotografie generiche degli studi della Pacific Records, al limite del nastro master e della documentazione dell'epoca. Oppure si poteva semplicemente riportare il testo dell'allegato, abbellito da un po' di grafica.

Alberto.

 

Inviato

La ragione è proprio quella, non avevano le foto di Francis Wolff come per le sessions Blue Note. Per il resto la copertina è della stessa qualità solo non è gatefold. Lamentarsene troppo, vista la qualità dei titoli e delle stampe, sinceramente mi sembra una fisima. 

Inviato
2 ore fa, giorgiovinyl ha scritto:

Lamentarsene troppo, vista la qualità dei titoli e delle stampe, sinceramente mi sembra una fisima. 

Per come la vedo io avresti ragione se si trattasse di un qualsiasi vinile, ma una parte del fascino dei Tone Poet, da sempre, sta anche nella bellezza delle copertine, spettacolare.

Questa  lo è meno, tutto qui, il disco rimane splendido. Più  che una lamentela,  una constatazione 😉

 

Ps. Senza considerare che la Blue Note lo pubblicizza come deluxe gatefold, ed è comunque scorretta

 

https://store.bluenote.com/products/carmell-jones-the-remarkable-carmell-jones-lp-blue-note-tone-poet-series

  • 1 mese dopo...
Inviato

 

Puntata pasqualizia de “Lo Stato Del Vinile”. Buona Pasqua à tuout le monde!
:classic_smile:

Roland Kirk – Here Comes The Whistleman – Candid Records (1967) – AAA Rhino Recordings (2023)
Recensione alla veloce per chi non ha voglia di leggere: facciamo che lo comperate senza tante storie, così mi evitate di scrivere la recensione? Come dite? La volete comunque? E va bene...però viene lunghetta eh.
Frriiiiiiiii, fischiettiiii!
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T’èl chi l’aranciòn vinilòn!
Ah ma è la Rhino che ristampa?
E’ tornata la Rhino? Bene!
Si parla poco di Roland Kirk da Columbus (Ohio), un sassofonista (pardon, un musicista) che amo in modo particolare e considero alla pari dei vari Getz, Dolphy, Webster, Rollins, ecc.
Partiamo dai difetti: l’unica pecca di Here Come The Whistleman è che dura troppo poco; anche per colpa di Roland Kirk, il quale divaga, scherza col pubblico, motteggia col tecnico del suono ed introduce parte dei brani. La registrazione Mono (e fortuna che è Mono…) nonché dal vivo, pur con diverse magagne, nel complesso è sorprendentemente solida: corposa, ravvicinata ma coerente, pulita e d’impatto. Aspettate che cerco un bel voto, ce l’avevo qua...
Roland Kirk appartiene alla schiera dei jazzisti che raggiunsero il difficilissimo obbiettivo di essere moderni senza risultare pedanti. Fatta eccezione per il fischiato di cui al titolo del disco, che è un’autentica gemma (Kirk e compagni fanno uso di vari fischietti…frrriiiiiiiii!), le altre tre composizioni del Roland Kirk autore, incluse nel disco, mi sono parse di altissimo livello. Lo stile del capitano Kirk si può definire d’avanguardia accademica, ovvero di quei musicisti che vollero guardare avanti senza rinnegare la tradizione, aggirandola o rimodellandola in senso innovativo; con un piede di qua ed uno di là, in una difficile e fragile alchimia tra sperimentazione e swing.
Quando si evoca lo Swing non bisogna soltanto riandare al ritmo sincopato delle orchestre da ballo degli anni ’40. Se non c’è swing non c’è Jazz, diceva Thelonious Monk. Lo swing è una postura, l’imprimitura alla tela, l’atmosfera attorno alle cose, la base su cui poggiare l’edificio, l’innesco incendiario che avvia la macchina del Jazz.
Il grande sassofonista (pardon, musicista) Eric Dolphy, nelle sue più perentorie falcate Post-Bop, è riuscito ad essere estremamente swing. Dolphy era preparatissimo innanzitutto dal punto di vista teorico, al pari di Roland Kirk, appassionato e profondo conoscitore di musica classica.
Il brano più particolare e curioso contenuto in Here Comes The Whistleman è il celebre Yesterdays, nel quale il bassista Major Holley fa lo scat con la voce e l’archetto sulle corde, all’unisono, creando un effetto tipo laringofono, decisamente suggestivo e coinvolgente.
A proposito di voce, quella di Kirk tende al caldo, è corposa e si spinge in profondità, alla Sonny Rollins. Roland Kirk ricorre, tra le altre cose, al nose-flute, letteralmente un flauto da naso. Eccellente il gruppo a supporto, dal quale emergono i due pianisti Jacki Byard e Lonnie Smith.
Circa il versante più tecnico, abbiamo a che fare con una registrazione monofonica dal vivo, datata 1965, tutto men che perfetta. Eppure suona. Suona alla grande. E’ mono-panoramica! Ance ben in evidenza, pianoforte più che discreto, timbrica morbidona, immagine centrale molto coerente. Dinamica a tratti esplosiva, come nell’ingresso del sax (ripreso da vicinissimo) in I Wished On The Moon, una sciabolata a tradimento che vi farà sobbalzare dalla poltrona. Provate ad alzare il volume se avete coraggio.
Sto disco merita la versione doppio 45 giri, pur con tutti i suoi limiti. Non illudetevi di farvene un’idea ascoltandolo in Rete, andreste completamente fuori strada. Here Comes The Whistleman è la tipica registrazione che va degustata su vinile, a cui il vinile infonde senso acustico e finanche artistico. Come si dice, il vinile è la morte sua. Gli applausi del pubblico si appalesano in maniera discreta e di ciò ringraziamo iddio. Tra parentesi, nei dischi registrati dal vivo il pubblico è caldamente invitato a rimanere assolutamente immobile, senza fiatare. Può respirare, ma con moderazione.
Copertina semplice non laminata. Here Comes The Whistleman meritava un vestito più lussuoso. Vinile 130 grammi quasi completamente muto, di un bellissimo colore arancione trasparente. Non ho capito dove è stato stampato, so soltanto che la stampa è americana, in ogni caso la mia copia è silenziosa. Riversamento Full Analogue by Kevin Gray.
Per concludere (si fa per dire): consiglio, caldeggio e riconsiglio questa eccellente ristampa Rhino di Here Comes The Whistleman, un titolo su cui il pubblico audiofilo non ha ancora puntato troppo gli occhi e che pertanto sono riuscito ad acquistare, su IBS, al prezzo Affaròn di 24 Euro spedito, usufruendo di un'offerta ad equazione retrograda. Per chi non lo sapesse, si tratta di uno sconto in uso sulla piattaforma IBS, chiamato a doppio incastro egizio ed equazione retrograda, il quale è sottoposto ad eventi condizionati astrofisici, tra cui il passaggio su Cerignola di un asteroide venusiano: blu. Se viceversa l’asteroide viene identificato come plutoniano, che si confonde perché è blu pure lui (‘ste civiltà extraterrestri non hanno un minimo di fantasia), ma di una tonalità di blu leggermente più scura, si procede ad azzerare la tessera punti e lo status del cliente passa da "Platino, Diamanti, Zaffiri e Dobloni D’oro" a "Bubbone Pestilenziale E Purulento", dalla cui condizione è possibile uscire (come tutti sanno) soltanto con l’acquisto dell’intera discografia di Fedez, più diciotto pandori scaduti (altamente benefici). Ed è perfettamente inutile contestare la tonalità rilevata di blu giacché, come penso saprete, nemmeno gli scienziati più stimati si sono ancora messi d’accordo circa l’esatta cromia dell’asteroide venusiano, se blu estoril o blu cina; la questione provoca accesi dibattiti ad ogni simposio e quando non finisce a parolacce si passa direttamente alle legnate. Per colpa di ‘sta diatriba è pure saltato qualche rapporto coniugale (vi sarà senz’altro giunta notizia).
Voto artistico: 10 (per non esagerare)
Voto tecnico 9 (considerando che è Live ed è pure Mono).
Voto ai fischietti: frrriiiiiiiiiiiiiiiiiii!

Alberto.

 

  • Thanks 2
Inviato

@OTREBLA  Grazie per la segnalaziòn. PS: Non mi par ancora vero di aver battuto il Maestro sul terreno Affaròn :classic_wink:

 

Screenshot 2024-04-01 083014.png

Inviato

Eh ma sei un grande!

Invidia massima...:classic_biggrin:

 

Inviato

Non so per quale motivo ho scritto che il disco di Roland Kirk è della Candid, in realtà è della Atlantic, come ben si vede dal logo in copertina e dalla scritta sull'etichetta.

 

Alberto.

Gaetanoalberto
Inviato
Il 31/3/2024 at 16:19, OTREBLA ha scritto:

Affaròn di 24 Euro spedito, usufruendo di un'offerta ad equazione retrograda. Per chi non lo sapesse, si tratta di uno sconto in uso sulla piattaforma IBS, chiamato a doppio incastro egizio ed equazione retrograda, il quale è sottoposto ad eventi condizionati astrofisici, tra cui il passaggio su Cerignola di un asteroide venusiano: blu. Se viceversa l’asteroide viene identificato come plutoniano, che si confonde perché è blu pure lui (‘ste civiltà extraterrestri non hanno un minimo di fantasia), ma di una tonalità di blu leggermente più scura, si procede ad azzerare la tessera punti e lo status del cliente passa da "Platino, Diamanti, Zaffiri e Dobloni D’oro" a "Bubbone

Ero di buonumore prima di scoprire di esser passato allo status “bubbone”.

Vado a toglierti la coppetta per la recensione.

  • Thanks 1
  • 1 mese dopo...
Inviato

 

 

Recensione alla veloce per chi non ha voglia di leggere: non pervenuta.

Billie Holiday – Songs For Distingué Lovers – Verve (1958) – AAA Acoustic Sounds (2023)
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Con questo disco me la sbrigherò in poche righe, tanto che ometterò la recensione alla veloce.
N’altra fotografia? Massiii…
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Non penso sia il caso di ripercorrere la tormentata vicenda di una delle cantanti più famose della storia del Jazz. Una donna dall’esistenza a dir poco travagliata, nonostante i successi in ambito musicale. Tutte le brutture di cui fece esperienza, a partire dall’infanzia, abbandonata dal padre e con una madre poco o per nulla presente, le segnarono il carattere e, c’è da presumere, la spinsero a rifugiarsi nell’alcol e nelle droghe. Scomparve poco più che quarantenne, minata dagli eccessi e dai rimpianti, lasciando  un patrimonio di poche centinaia di dollari.
La voce di Billie Holiday siede e giganteggia nell’olimpo della storia del Jazz: malinconica, sofferta, densa di struggenti tocchi cromatici, carica di blues e musicalità. Morbida e leggermente graffiata, univa dolcezza e disperazione nella medesima sfumatura timbrica. Qualcosa di unico ed irripetibile. Songs For Distingué Lovers è niente di più e niente di meno che un capolavoro assoluto. Il disco Jazz da consigliare a chiunque abbia qualcosa di più di un compact disc al posto del cuore, e che ci ricorda quanto l’etichetta Verve, attraverso i molti capolavori pubblicati sotto le proprie insegne, abbia contribuito in maniera decisiva a rendere il Jazz la musica Classica del secolo breve.
Sostengono il talento della Holiday, tra gli altri, un colossale Ben Webster al sax tenore, Harry Sweet Edison alla tromba (da applauso a scena aperta) e l’eccellente Barney Kessel alla chitarra.
Gli arrangiamenti dei molti brani mossi e ritmati rasentano la perfezione.
Registrazione che ha dell’incredibile, risalente al 1958; offre dinamica, dettaglio, trasparenza e bilanciamento assolutamente da primato, con la voce della Holiday che prende vita, presente ed olografica, nella vostra stanza d’ascolto. Il vinile QRP è muto come una lastra di marmo.
Pagato 35 Euro su IBS.
Voto artistico: e chi si azzarda...
Voto tecnico: bah, ti dirò...non c’è male...
Veniamo ora alla recensione vera e propria, con ‘sta roba qua:
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Sam Rivers – Fucsia Swing Song – Blue Note (1965) – AAA Blue Note Classic (2023)
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Non mi dire, devo recensire un disco di Jazz Modal-Sperimentale? Cioè fatemi capire, si passa dalla Holiday a Sam Rivers? Ossignore che barba!…farò finta di farmelo piacere così sono contenti tutti…era in offerta a 10 Euro (altrimenti col cavolo che lo comperavo!); mi sono deciso all’acquisto più che altro attratto dalla scritta “Swing” in copertina…ed ora mi tocca recensirlo…non è che ne abbia tutta ‘sta gran voglia…perché diamine vai dietro agli sconti Alberto!...Questa mania di inseguire lo sconto...compera quello che ti piace no? Va be’ dai, facciamoci coraggio...spettate che prendo una mezza aspirina prodromica...
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Recensione alla veloce per chi non ha voglia di leggere: acc...m’è andata la mezza aspirina prodromica di traverso...s’è incastrata nell’ansa esofagea...comunque facevo bene a comperarne cinque! C’è ancora l’offerta a 10 Euro?
Eccellente lavoro del tenor-sassofonista Sam Rivers, costituito da soli brani originali, uno più bello dell’altro.
Fonde swing, bop, modalità e post-bop, secondo un moto ondoso di picchi e ricadute, per cui si sprofonda verso l’astrazione ed improvvisamente si torna in vetta allo swing, in un’alternanza dei due modi che, quasi per magia, fissa le idee melodiche più o meno sempre in primo piano.
Una mezza furbata, ma molto efficace.
Sam Rivers non è sassofonista da violenti picchi dinamici, in alto o in basso. Si mantiene al centro, con un eloquio discorsivo, amichevole, che affabula grazie alla voce morbida e priva di eccessive forzature. Determinante il pianista Jackie Byard, dal tocco accennato, indeciso, quasi a voler segnare il passo più che marciare. Ne risulta una eco di note sfiorate, abbozzate, per cui si crea un tappeto ritmico e melodico da mondo parallelo. Bravo!
Fucsia Swing Song meritava la serie ammiraglia di Blue Note, con la doppia copertina laminata Stoughton, non questa ignobile fetecchia di copertina Classic, santocielo! Capisco per quale motivo l’etichetta Music Matters abbia deciso, a suo tempo, di preferire Fucsia Swing Song altri lavori di Sam Rivers.

Fucsia Swing Song è capace di mettere d’accordo tutti, amanti del Jazz classico, come me, e appassionati di Jazz più sperimentale. E comunque è bellissimo.
Beato chi possiede la ristampa Music Matters, anche perché è registrato alla grande: trasparente, con un’ottima scena sonora; giusto un po’ di frequenze basse in più non avrebbero guastato. Da 10 il bilanciamento tra i vari strumenti ed eccellente la resa del sassofono. Privo del minimo rumore di fondo il vinile Optimal.
Voto artistico: va be’ dai, per stavolta…quasi 10.
Voto tecnico: 10 meno.
Voto all’aspirina prodromica: 5...perché tende ad incastrarsi...

Alberto.


 

 

  • Melius 1
  • 2 settimane dopo...
Inviato

Be', non è che mi piaccia proprio tutto, tutto, tutto...

 

Stanley Turrentine – Rough ‘n’ Tumble – Blute Note (1966) – AAA Blue Note Tone Poet (2023)

Recensione alla veloce per chi non ha voglia di leggere: fosse dipeso da me, non lo avrei ristampato.
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Quando un disco non mi convince, adotto un mio metodo per dargli la classica seconda possibilità: lo ascolto in continuazione, fino a che non mi piace.
L’unico problema è che di solito questo sistema produce l’effetto contrario, cioè di confermarmi nella mia iniziale impressione. Non so quante volte abbia ascoltato Duke Ellington & John Coltrane della Impulse!, in particolare lo splendido Angelica. Ebbene, ogni volta giungo immancabilmente alla medesima conclusione: l’improvvisazione di Coltrane è insopportabile e rovina il brano.
E’ uno dei primi CD Jazz che ho comperato, trent’anni fa, l’avrò ascoltato, tra CD e vinile, decine di volte. Niente, quando arrivo ad Angelica mi assale l’impulso di saltare il brano.
Ho trovato Rough ‘n’ Tumble il meno interessante tra i lavori del tenor-sassofonista Stanley Turrentine che abbia sinora acquistato. Mi è stato recapitato cinque mesi fa, ne ho scritta la recensione, dopodiché ho continuato ad ascoltarlo per capire se mi fossi perso qualcosa.
Pare proprio di no.
Non è affatto un brutto disco però a me non interessa il genere. Quindi è colpa mia.
Jazz edulcorato, tra funk e pop, di un’epoca in cui accanto alle sperimentazioni più cerebrali ed ardite vi era la tendenza diametralmente opposta, volta ad accattivarsi il pubblico generalista ed il relativo mercato. Vi basti sapere che il famoso pianista McCoy Tyner, conosciuto per il suo stile astratto, qui si limita a fare l’accompagnatore e quasi manco ci si accorge di lui.
Ma Rough ‘n’ Tumble è proprio così orrendo? Certo che no. Se vi attrae questo tipo di Jazz, ve lo consiglio senz’altro. Abbiamo del Gospel, del Funk, addirittura dello Shake e canzoni varie.
Il momento che mi è piaciuto di più è durante Baptismal, in cui Pepper Addams entra in scena con una splendida improvvisazione Bop al sax baritono.
Quella è la parte che mi è piaciuta di più. Fate voi…
Quasi tutti i brani sfumano sul finale, e già questo è per me un indizio di segno negativo. Lo sfumato è tipico della musica Pop.
Siamo molto lontani dallo spettacolare Up At “Minton’s” (Vol.1), che vedete in fotografia nella versione doppio 45 giri della Analgoue Productions il quale, sebbene registrato dal vivo un po’ alla buona, è una scala reale a Poker e spero per voi che la Blue Note lo ristampi nella serie Classic.
Segnatamente, è il più bel disco di Turrentine che possiedo.
Il suono di Rough ‘n’ Thumble si presenta definito e squadrato, sebbene un po’ compresso nella dinamica. L’immagine, spostata in avanti, mi sembra il risultato di qualche manipolazione; nel complesso è una buona registrazione, abbastanza trasparente e con la ripresa dalla batteria molto ben riuscita e d’impatto. Trovo che abbia poco corpo ma il risultato è comunque di livello superiore alla media. Il vinile RTI poteva essere più silenzioso? Direi di sì.
Pagato 25 Euro in offerta su Amazon.fr.
Voto artistico: 6 1/2
Voto tecnico: 8 ½
Forse un giudizio artistico un po’ severo, ma molto dipende dal fatto che lo Stanley Turrentine che personalmente preferisco è un altro.

 

Alberto.

 

Inviato

TIPO QUESTO!

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Stanley Turrentine – Mr. Natural – Blue Note (1964) – AAA Blue Note Tone Poet (2023).
Recensione alla veloce per chi non ha voglia di leggere: adesso si comincia a ragionare.
Stesso Turrentine di Rough ‘n Thumble, risultato diametralmente opposto. Cinque pezzi: quello in apertura è di Duke Pearson e si basa su di un ripetuto giro armonico del pianoforte; a parte lo sfumato finale (che ci sta pure), si potrebbe scambiare per una composizione di Horace Silver (ed è un complimento); segue un pezzo originale di Turrentine su base latina, in cui si fa notare Lee Morgan, dalla voce piena e squillante.
In generale, grazie all’apporto del percussionista Ray Barreto, l’intero disco è pervaso da echi di musica latina. Meno in evidenza il pianista McCoy Tyner, il cui contributo è sempre piuttosto misurato e quasi in ombra. Da segnalare il brano Can’t Buy My Love dei Beatles, rivisitato efficacemente in chiave Blues, che chiude il disco.
Oltre al titolare emerge, durante l’ascolto, il trombettista Lee Morgan, che a tutti gli effetti spalleggia Turrentine, grazie ad una prestazione più da velocista che da gregario.
Non si capisce per quale motivo la Blue Note abbia atteso fino al 1980 per pubblicare Mr. Natural, offrendo esso un’ottima prova del tenor-sassofonista di Pittsburgh, con Lee Morgan in perfetta forma, e musica Jazz di qualità.
Registrazione mancante di un filino di corpo e di spinta, pur collocandosi ai piani alti in quanto a qualità complessiva. Il pianoforte è un po’ lontano e fragile, il basso leggermente lungo. A parte questi piccoli rilievi, immagine molto buona, bilanciamento e trasparenza da 9.

Vinile RTI abbastanza silenzioso.
Pagato 25 Euro su DVDLand.

Voto artistico: 9.
Voto tecnico: 9.

Alberto.

  • Melius 1

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