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Il disco in vinile che state ascoltando ora!


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Gaetanoalberto

1967 - The best of Jimmy Smith

Dato che non avevo nulla del nostro, ho trovato questa bella raccolta, credo coeva.

Ma che cose sciccose, come la label dorata che mi ha davvero attratto.

Ben inciso, con alcuni brani top del periodo precedente, trasmette tutta la carica innovativa del primo tastierista ad utilizzare l’Hammond per un andatura influenzata dal blues, in un contesto di jazz/soul molto trascinante.

L’uomo definito da Miles “l’ottava meraviglia del mondo”… 
Credo un buon modo per cominciare, pur non avendo altri termini di paragone.

 

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@analogico_09 hai infilato in un post ben 2 degli album da me più amati, e per ragioni istintive, che vengono da dentro: il WA è struggente per quell'aura che preclude la fine di un periodo irripetibile, A Love Supreme perchè presi il cd solo per la copertina, che ricordavo essere inserita fra quelle dei dischi "che contano". Lo ascoltai e da subito fui rapito dalle melodie, dal furioso flusso torrenziale di note "disperate", inesauribile urgenza spirituale.

Un album bianco fuori e "nero" dentro, e un altro nero fuori e pieno di luce. 

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Gaetanoalberto

1966 - Jimmy and Wes - The dynamic duo.

Anno precedente alla compilation postata in precedenza. Arrangiamenti di Oliver Nelson. Una combinazione vincente ed un risultato eccezionale ma molto diverso da quello del Jimmy artista individuale. La carica esplosiva di  Jimmy si sposa con la maestria armonica di Wes, partorendo un lavoro che li esalta e completa entrambi.

Nel ripensare, mi viene in mente il potere unificante della musica, addirittura le immagini di quei soldati che con mezzi di fortuna, senza prosopopea, ascoltavano qualcosa prima o mentre si dedicavano al proprio dovere, un po’ come, fatte le debite enormi differenze di rischio, comodità e qualità degli strumenti, riesco a fare io adesso, e mi sento enormemente ed infinitamente fortunato, perché a loro toccava di morire e a me, molto meno pericolosamente, di ascoltare e scarabocchiare da seduto ed al calduccio, anche se per ore ed ore ed ore. Penso però che le note avessero molto significato per loro, ed anche per noi più fortunati.

Ad accomunare molti lavoratori, spesso costretti anche al fare, il valore semplice, emozionale, emozionante, anche popolare della musica, che in effetti si è un po’ perduto ma che era molto ben radicato un tempo.

Mi viene da pensare proprio all’origine del Jazz, che appunto accomunava la gente semplice e di colore ed alla quale alle sue origini era destinato, e sorrido nell’immaginare cosa avrebbero pensato e detto i muratori, camerieri, addetti alle pulizie frequentatori degli jazz club, di tante nostre colte fisime, o cosa avrebbero pensato quei soldati in trincea, dei radical chic che approfondiscono il significato del nero infrastrumentale,  senza giungere ovviamente ad un risultato condiviso ma assolutamente convinti di essere ognuno depositario di una verità. 

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analogico_09
1 ora fa, Gaetanoalberto ha scritto:

Nel ripensare, mi viene in mente il potere unificante della musica, addirittura le immagini di quei soldati che con mezzi di fortuna, senza prosopopea, ascoltavano qualcosa prima o mentre si dedicavano al proprio dovere, un po’ come, fatte le debite enormi differenze di rischio, comodità e qualità degli strumenti, riesco a fare io adesso, e mi sento enormemente ed infinitamente fortunato, perché a loro toccava di morire e a me, molto meno pericolosamente, di ascoltare e scarabocchiare da seduto ed al calduccio, anche se per ore ed ore ed ore. Penso però che le note avessero molto significato per loro, ed anche per noi più fortunati.

Ad accomunare molti lavoratori, spesso costretti anche al fare, il valore semplice, emozionale, emozionante, anche popolare della musica, che in effetti si è un po’ perduto ma che era molto ben radicato un tempo.

Mi viene da pensare proprio all’origine del Jazz, che appunto accomunava la gente semplice e di colore ed alla quale alle sue origini era destinato, e sorrido nell’immaginare cosa avrebbero pensato e detto i muratori, camerieri, addetti alle pulizie frequentatori degli jazz club, di tante nostre colte fisime, o cosa avrebbero pensato quei soldati in trincea, dei radical chic che approfondiscono il significato del nero infrastrumentale,  senza giungere ovviamente ad un risultato condiviso.


Scusa ma non capisco a che pro queste osservazioni suoi vari tipi di ascolto musicale,  mi pare leggerci, se sbaglio correggimi, una sorta di "populismo" sommario e risaputo, o di elegio del "buon selvaggio", legittimo ma degli anni passati credo oramai in disuso.
Si sa insomma che vi sia sempre stato chi va in trincea a soffrire, morire, e chi resta nel salotto di casa a godere con la musica e quant'altro, come sappiamo, e se ne parla spesso, per quanto mi riguarda mi sono più volte soffermato perorandola su tale questione, che vi è sempre stato un modo di ascoltare la musica investendo la semplice emozione che accomunava non solo i "lavoratori", la gente semplice, bensì anche la gente "non semplice" diciamo tutti gli esseri umani dotati di sensibilità, il qualemodo  non si è affatto perduto, semmai si sarà trasformato, forse in peggio, come non si è perduta la  dimensione del sentire musicale più critico e "colto", ma non di meno emozionale, emozionato, de core, semplice, diretto. Dove una dimensione del sentire non esclude l'atra o si renda migliore dell'altra.
Sul jazz, non solo dell'origine, come musica popolare delle persone generalmente semplici, diciamo degli afroamericani affrancati dalla schiavitù, ma ancora razzistati, del "popolo del blues", come musica della festa e del "dolore", della semplicità, dell'ascolto istintivo, ecc..,  aggiungerei delle complessità emozionali ed intellettuali, a cui (cor)rispondono l'istinto, il cuore e la mente, su ciò che scrivi mi sembra di ritrovarci un po' quelli che sono i miei "cavalli di battaglia", le mie opinioni sulle condizioni musicale e sociali più in generale, socio-musicali, storiche, estetiche, antropologiche, del "nero" americano che spesso ripropongo nei miei interventi su tali questioni, parlando di jazz, ricordo anche la tua presenza in qualche discussione.  Mi fa piacere che condivida le mie vibranti ed appassionate inclinazioni..,  però cosa c'entrano i "radical- chic del nero sovrastrutturale"... queste contrapposizioni mi sembrano innecessarie ed avulse dal contesto. Libero ovviamente di dire ciò che pensi, lo siamo tutti in questo forum .
Quante volte avrò ricordato, ad esempio, un fatto per tutti,  come la più grande interprete di canzoni del jazz, Billie Holiday, trovò ispirazione per le sue musiche, per i testi in particolare, anche dal fatto che da ragazza avesse lavorato da sguattera in bordelli di infimo ordine.., ed altre esperienze del dolore su cui sorvolo, vedendo come i "neri" venissero impiccati agli alberi del "Sud":  Strange Fruit., cose riferibili anche agli altri fratelli neri della povertà, del disagio profondo, ai "muratori, camerieri, addetti alle pulizie frequentatori degli jazz club".., tutta gente del popolo.., dure esperienze vissute anche, in modo forse meno drammatico, anche dalla "borghesia" nera un po' più abbiente... Una cosa non esclude l'altra, le contrapposizione nette rischiano di diventare manichee. L'idea diun "nero" tutto istinto ed emozione, ricorda un po' "la capanna dello zio tom".

Evviva la musica evviva tutti i modi di ascoltarla, evviva tutta la gente, di ogni colore e condizione sociale, nazionale e continentale che ami ascoltarla come meglio sappia, voglia e possa fare, dove l'autentica, sincera passione musicale, dalla più semplice alla più profonda,  che trascende gli "schemi", le categorie, risiede in tutti quelli che sappiano coltivarla!

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