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Melius Club

Il diario dei film


analogico_09

Messaggi raccomandati

Inviato

Madre, ancora un altro grande film dal regista di memorie di un assassino,parasite e altri.

Su prime.

Inviato
Il 22/9/2024 at 16:54, Napoli ha scritto:

La saggezza nel sangue(1979) j.huston regista di un  grande film dissacrante e cupo,su prime.

 

Film "scocciato" che racconta bene la profonda provincia americana del sud superstiziosa e violenta quindi meno inverosimile di quel che potrebbe sembrare a prima vista. Napoli tu sei il mio suggeritore di film che mi fa andare quasi sempre a colpo sicuro... :classic_wink:

 

  • 2 mesi dopo...
Inviato

 

 

LA VITA È UN MIRACOLO

Emir Kusturica (2004)

 


 

Il ritorno di un poeta della mdp

 


E’ lui, Emir Kusturica, in tutto e per tutto, quattro anni dopo Super8Stories, sorta di divertissement musicale che aveva lasciato pubblico e critica in un limbo di perplessità. E’ tornato con un’opera densa e vibrante, ispirata ed increata, pur nella ricorsività degli stilemi narrativi, poetici ed estetici di un autore che assomiglia sempre più a se stesso, nonostante le evidenti, stupefacenti assonanze con l’agro/dolce universo (non solo) felliniano.
La vita è un miracolo. E lo è anche il cinema. A volte.
Il cinema come quello di Kusturica, che nella sua unicità sembra miracolosamente resistere ai cedimenti del tempo, ai ricatti delle mode, alla tirannia della logica dello spettacolo: un cinema che affonda le radici nel palpito della terra e della storia,  il quale è memoria e nostalgia, sublime progetto lirico.

Bosnia, 1992. Scoppia il conflitto che sconvolgerà le vite dei protagonisti. In quello scenario di morte e distruzione, Luka, un ingegnere serbo che vive in una casa/casello ferroviario, alle prime avvisaglie di guerra ed in seguito, mentre tutto gli crolla addosso, finge di non accorgersi della tragedia e seguita a “giocare” con il suo meraviglioso plastico ferroviario che ama mostrare a tutti, sognando il suo progetto, oramai irrealizzabile, di una ferrovia che avrebbe trasformato la desolata regione in un paradiso turistico.
Sua moglie, l’isterica e svampita Jandranka (una frustrata cantante d’opera, tra le figure più grottesche del film), fugge con un suonatore di cymbalon rumeno; il figlio Milos (giovane giudizioso e concreto) parte per il fronte dove sarà fatto prigioniero.
Ma nulla sembra distogliere Luka dal suo piccolo mondo-rifugio, in fondo poetico, se non anche patetico, da quel disarmante, apparentemente insensato, e trasognato isolamento. Fino a quando l’amore imprevisto per una giovane musulmana, la bella Sabaha, presa in ostaggio per essere riconsegnata al “nemico” in cambio di suo figlio Milos, non gli aprirà gli occhi e il cuore sulla tragedia, sulla vita, sull’amore e sulla morte, ed ancora sulla vita.
Il regista evita di prendere parte in causa: la guerra, con il suo bagaglio di orrori, nefandezze e odi razziali, evento inammissibile è senza torti o ragioni, da qualsiasi punto di vista la si osservi. Quello di Kusturica è un inno alla vita, all’amore, all’utopia, alla libertà senza confini, oltre le appartenenze.
Già dai primi fotogrammi, un turbinio di immagini e sequenze incalzanti catapultano lo spettatore nell’ipercinetico e vitale mondo del regista serbo. E così riconosciamo il suo visionarismo fiammeggiante, barocco e kitsch, le scanzonate e grottesche fanfaronate, le melanconie, il mordace sarcasmo, l’affettuosa ironia; il tutto amplificato dal ritmo “balcanico” delle immancabili e sardoniche musiche eseguite sul set dagli “informali” componenti della No Smoking Orchestra.
Kustrurica gira il suo film con una mdp che sembra priva di gravità, prolungamento del suo sistema nervoso, delle sue braccia, degli occhi e dei sensi. Inutile pertanto analizzare le “tecniche”, speculare su alcune "affettuose" inverosimiglianze, a soffermarsi con sguardo miope su alcuni eccessi e  lungaggini narrative che pure vi sono.
Nel caleidoscopio fluire delle immagini e nello svolgimento tramico, il sogno si sovrappone alla veglia, e viceversa, senza soluzione di continuità, in un progetto visivo e narrativo unitario, verosimilmente improvvisato e dove in funzione di una solida sceneggiatura, nulla è tuttavia lasciato al caso.
Sia esso il risultato di un grottesco volo immaginifico, oppure un preciso, drammatico riferimento simbolico alla guerra che bussa alle porte, la scena in cui un orso gigantesco apre la porta all'atterrito portalettere, dopo aver dilaniato il proprietario dello chalet montano, si colloca in ogni caso sul piano della più tragica ed insieme divertita surrealità.
Analoga situazione, tra humor scanzonato e compassione per la specie animale sottomessa all’uomo ed “incompresa”, riaffiora nella sequenza che mostra un asino inamovibile e disposto a bloccare la ferrovia, ben piantato di traverso sui binari, in realtà pronto a suicidarsi da “innamorato” infelice.
La vita è un miracolo, anche per gli animali, e come in tutti i suoi film (resta memorabile la splendida sequenza del bombardamento allo zoo di Belgrado, in Underground), Kusturica, fa ricorso ad una serie di leitmotiv “bestiali”, forse a fini simbolici oppure meramente iconici, specchi di umanità e di poesia.
A tratti limpida ed iperrealistica, spesso densa, astratta e sognante, la fotografia coglie scenari e paesaggi di rara bellezza, sospesi nell’indistinta dimensione di reale ed irreale, ancora una volta senza alcuna transazione visiva e narrativa che scompigli il rarefatto espediente espressivo.
L’idillio tra Luka e Sabaha viene presto sconvolto dalla brutalità della guerra, da circostanze che impediranno il concretizzarsi del loro sogno d’amore e di libertà. Tra tanto strazio e dolore, i tracciati sui quali s’innestano le felici ed anestetizzanti suggestioni oniriche e l’urgente, drammatico bisogno di realtà, restano saldamente appaiati.
Anche quando dal corpo ferito di Sabaha, distesa sulla slitta spinta da Luka verso un destino ignoto, cadono scie di sangue sul biancore puro e lirico della neve. Tra tanto dolore, nel bel volto di Sabaha e nella determinazione di Luka, in entrambi persiste un desiderio di sogno, di utopia, di speranza. E così, fino al drammatico epilogo di questa emozionate favola (molto distante dal modello “capriano”) intitolata "La Vita è un miracolo", allo spettatore è dato vivere un sogno filmico grandemente suggestivo e coinvolgente.

Ha bisogno di tempo l'autore per tarare i suoi migliori registri lirici, nel mettere in scena l'ampia gamma degli "umori" e dei sentimenti umani, la tragedia di una guerra che appare in tutto il suo orrore benchè vista sullo sfondo, mentre in due ore e trenta minuti circa di durata alcune ridondanze ed ipertrofie figurative e narrative (riscontrabili anche in Underground), le quali interessano essenzialmente la prima parte della pellicola e senza mai portare alla noia lo spettatore, vengono efficacemente compensate o sublimate da una messa in scena che si mantiene sul piano di una coesione interpretativa, formale e contenutistica rigorosa e visionaria, alta e ripagante.
(scritta nel 2004)


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  • 2 mesi dopo...
analogico_09
Inviato

Seguito a postare qui i commenti ai film che mi hanno particolarmente colpito a cui sono particolarmente affezionato per vari motivi e che mi piace commentare.

 

Ieri sera ho rivisto, da poco aggiunto su Prime, il bellissimo dramma eccezionalmente diretto e ancor meglio scritto dal grande Richard Brooks Il figlio di Giuda - (Elmer Gantry) 1960, con l'irresistibile coppia di interpreti, ma tutti sono ad elevatissimo livello, Burt Lancaster nei panni del predicatore esaltato) e Jean Simmons semplicemente metafisica, magnifica anche Shirley Jones.

2h:20 leggeri come una piuma (lo consiglio a @Partizan  :classic_smile: ), grande ritmo, montaggio ad orologeria, uno di quei film "di una volta" e never again...
A scriverne ora a mente fredda riprovo un lieve "dolore"; rivedo passare davanti agli occhi le magnifiche sequenze, scene e inquadrature che hanno vita, primi e primissimi piani ipnotizzanti di attori formidabili, immortali. Oscar miglior protagonista a Lancaster, per l'attrice non protagonista alla Simmons, Oscar per la sceneggiatura. Densa e potente la texture fotografica attraversata dalle musiche composte e dirette dal grande  Andrè Previn.
Una storia di fanatismi religiosi e predicatori folli nell'America rurale con risvolti melodrammatici e tragici; un film epico col quale il regista affonda di nuovo il bisturi della critica sociale nel corpo della provincia americana afflitta da da solitudini, ipocrisie, inganni, truffe, superstizioni, fanatismi...
(ed ecco da quale humus rispunteranno fuori certi attuali "predicatori" mandati da Dio... un pericolo stavolta per tutta l'umanità)

Memorabile la scena del gospel.., "On My Way" Malhalia Jackson ... (sembrerebbe che in ogni film vi sia prima o poi un treno...)


 

 

 



 

 

  • Thanks 1
Inviato

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Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti     Drammatico, 180’,  Italia, 1960.

 

*****

(5/5)

Me lo sono proiettato ieri sera, è sulla piattaforma di RaiPlay.
 

 

ATTENZIONE, VIENE SVELATA LA TRAMA DEL FILM, FINALE COMPRESO.

Dopo la parziale delusione che mi aveva procurato Le notti bianche la sera prima, mi sono accostato a questo film con molti timori.

Lo ricordavo come uno dei film più violenti e coinvolgenti avessi visto, ma lo avevo visto 50 anni fa e ne rimandavo continuamente una nuova visione per la lunghezza.

 

Il tempo è volato…  sguardo incollato  allo schermo, tensione ed ammirazione per un film che va detto subito è un autentico capolavoro.

La splendida fotografia di Giuseppe Rotunno, splendida come quella di Le notti bianche sempre di Rotunno, con neri profondissimi ed una capacità emozionale di raccontare, di descrivere con precisione ambiente, volti e personaggi.

Un cast di attori stellari, che recitano al loro massimo, una sceneggiatura (Suso Cecchi D’Amico, Vasco Pratolin, Massimo Franciosa, Pasquale Festa Campanile, Enrico Medioli e Visconti stesso) serrata e perfetta per raccontare una parte importante della storia del nostro paese, l’esodo dei migranti dal sud alle città industriali del nord, senza analisi sociologiche da quattro spicci, ma raccontate da dentro, dai personaggi. Ed una quasi invisibile quanto meravigliosa colonna sonora di Nino Rota ad accompagnare, a sottolineare la tragicità delle vicende.

Alla morte del marito Rosaria Parondi parte dal profondo sud per raggiungere a Milano il suo primogenito Vincenzo, ed ovviamente porta con se gli altri 4 figli: Simone il suo preferito, Rocco, Ciro ed il piccolo Luca.

Simone il più spigliato (un ottimo Renato Salvatori) e con voglia di arrivare si avvicina al mondo della boxe, ha un fisico ed una forza notevole che gli fanno raggiungere velocemente, forse troppo, dei piccoli successi e si sente immediatamente coinvolto dal giro di soldi che gira attorno al mondo della boxe, che purtroppo più o meno da sempre è contiguo a quello della malavita.

Un bel giorno, sono tutto nel loro interrato gelido, e fuori sta nevicando, e sentono un casino infernale nel giro scale, è Nadia (una intensa Anne Girardot) che ha litigato col padre e sta scappando da casa con la solo sottoveste addosso. Le aprono, la madre intuisce subito che si tratta di una “malafemmina”, ma Simone se ne invaghisce praticamente immediatamente. Li vediamo frequentarsi, capiamo che lui, perennemente alla ricerca di soldi, combina qualche guaio, qualche piccolo furto, facendo sempre più lo spaccone per nascondere le sue insicurezze.

Di pasta completamente diversa è Rocco (un meraviglioso Alan Delon): taciturno, buono, gentile quanto assolutamente risoluto e deciso. Ciro è il più posato, è quello che si integra più velocemente, con passione va a fare l’operaio all’Alfa Romeo e la sera studia per prepararsi a fare delle scuole serali; ha una bella morosa milanese, è molto attaccato a sua mamma ed ai fratelli. Luca è il piccolo, sta a casa con la mamma, è molto legato a tutti i componenti della famiglia e funziona come coordinamento informativo tra i vari fratelli, va  a portare ambasce a Ciro all’Alfa, lo vediamo con Vincenzo il fratello maggiore che si è staccato da casa, si è sposato con  Ginetta (una SPLENDIDA Claudia Cardinale) e sta tirando su una famiglia: due figli in pochi anni.

La famiglia sembra si stia sistemando, a parte Simone sempre più border line, distrutto dalla passione per Nadia e sempre meno corrisposto.  Le cose tra loro iniziano ad andare male, lei non lo sopporta e decide che se ne andrà lontano per un lungo periodo; in realtà scopriremo che lei si farà una detenzione per vicende probabilmente legate al fato di essere una prostituta.

La famiglia Parondi si trasferisce in una abitazione molto migliore che le è stata assegnata, ma ci sono problemi   perchè Rocco parte militare e le uniche entrate sono quelle di Ciro, spudoratamente la mamma scrive a Rocco di risparmiare la diaria di soldato e di farle un bollettino postale.

Proprio uscendo dall’ufficio postale Rocco incontra Nadia, appena uscita di galera, che gli fa fare un giro in carrozza e gli offre un caffè. Li vediamo seduti al tavolino e subito vediamo Nadia rilassarsi, togliersi da maschera di donna vissuta e confessare le proprie difficoltà ed insicurezze. Al contempo è turbata dalla riservatezza e quasi mutismo del ragazzo, che però nascondono una grande forza interiore. Inevitabilmente sono attratti l’una dell’altro e nascerà un rapporto d’amore molto rispettoso e felice. Nadia sente che Rocco ha sicurezza e fiducia in lei, cose di cui ha assolutamente bisogno. Si frequentano e continuano a farlo una volta tornati a Milano, una Milano bellissima e splendidamente fotografata.

Simone ha sempre più problemi, il suo trainer ed il suo procuratore maledicono la volta che hanno creduto in lui, è in fase calante, è appesantito e soprattutto non si allena, fa tardi la sera, beve, fuma…

Lo vediamo in un incontro in cui un giovane nero lo martella e lo massacra, fino a che è costretto a gettare la spugna a sospendere l’incontro. Il suo staff è indignato sia per la prestazione che per come ha rinunciato a combattere.

Il suo trainer che scherzosamente gli aveva detto in allenamento che era meglio suo fratello Rocco, apparentemente meno dotato fisicamente, adesso decide di provare davvero col ragazzo che, al solito, la prende molto seriamente, si allena con regolarità ed è molto determinato. Inizia a fare combattimenti e sono dei successi, lo vediamo diventare l’idolo dell’ambiente, mentre suo fratello Simone è sparito dalla circolazione.

 

Una sera Simone è seduto al bar con gli amici, un branco di perditempo e forse altro, bevono scherzano, tutto come sempre fino a che un biondino si rivolge a Simone e gli racconta che Rocco e Nadia stanno insieme, all’inizio il fratello è incredulo, ma poi quando un po’ tutti i presenti dimostrano di esserne a conoscenza, si convince. In quel momento arriva un ragazzetto in bicicletta e dice di averli appena visti li vicino, in un boschetto della Ghisolfa dove vanno sempre a fare l’amore.

Accompagnato da tutti i balordi che erano con lui, Simone li raggiunge, non c’è modo di farlo ragionare, Rocco viene bloccato e c’è una terribile scena di stupro della ragazza da parte di Simone con lancio di mutandine sulla faccia del fratello… vediamo Nadia alzarsi ed andarsene distrutta, mente inizia una furibonda lotta tra i due fratelli. La cattiveria e la stazza fisica del fratello maggiore hanno il sopravvento su Rocco che, conciato malissimo, raggiunge a fatica la casa di suo fratello Vincenzo a notte fonda.

Le scene successive sono terribili e poco condivisibili. Rocco anziché cercare vendetta nei confronti del fratello, o quantomeno chiudere i rapporti con lui, si auto colpevolizza; si sente responsabile di quanto accaduto, avendo rubato la morosa al fratello e che secondo lui ne aveva molto più bisogno.

Inevitabilmente Nadia si sente tradita, il percorso di redenzione che aveva iniziato non ha più senso, Si rimette con Simone con il preciso intento di rovinarlo; lui è sempre più alla deriva, comincia rubare e persino a prostituirsi a sua volta con l'ex pugile Duilio Morini, colui che lo avevo scoperto come pugile. Ha sempre bisogno di soldi, ha atteggiamenti ricattatori nei confronti di tutti che non lo reggono più. Gli unici a sostenerlo sono sua mamma, sempre convinta della sua buona fede e che la vera colpevole sia quella puttana di Nadia, e Rocco che continua a procurargli soldi , addirittura in contrasto alle sue precedenti decisioni di smettere di boxare per tornare al paese in Lucania, accetta di proseguire ed intesificare la sua carriera con contratti a lungo periodo.

Ed una sera in cui Rocco sta combattendo e vincendo un incontro di alto livello, Simone, piantato da Nadia, viene a sapere che lei è tornata a prostituirsi dalle parti dell’Idroscalo. Parte immediatamente alla sua ricerca, la raggiunge, cerca di convincerla, ma lei è risoluta, lo deride, gli intima di andare via. Ed è allora che lui estrae di tasca un coltello e la pugnala ripetutamente, mentre lei grida che non vuol morire, e spalanca le braccia come un cristo crocifisso.

Il cliente di Nadia spaventato se n’era andato e quindi non l’ha visto nessuno ad uccidere la ragazza. Fugge e raggiunge casa proprio mente Rocco e famiglia, e tutti i vicini, stanno festeggiando la vittoria di Rocco; i fratelli sono furiosi tranne Rocco che informato da Simone dell’omicidio, ancora una volta si auto colpevolizza e cerca di dare protezione al fratello.

Ma Ciro si infuria, inforca lo scooter e va a denunciare il fratello, che sarà arrestato nei giorni successivi.

Famiglia disgregata, distrutta dal clima del boom economico, con i suoi falsi miti, che sballa valori e convinzioni, che violentemente pesa su ognuno dei fratelli ed a cui reagiscono in modo assolutamente diverso.

Nelle immagini successive vediamo Luca, il più piccolo, che va a trovare il fratello Ciro durante una pausa dal lavoro; sul prato vicino all’Alfa il piccolo sputa in faccia a Ciro parole pesantissime, traditore del fratello, della sua famigli, del suo sangue.

Il fratello reagisce parlando con affetto di Simone, di Rocco e di tutta la famiglia, vittime del sistema che tutti violenta ed auspica un mondo migliore, dove nessuno debba spostarsi, abbandonare le proprie tradizioni, emigrare per poter mangiare.

Suona la sirena, è il segnale di rientrare in fabbrica, i fratelli si lasciano, ma arriva la fidanzata di Ciro a dargli sostegno con parole d’amore, ed il fratellino andandosene lo saluta nuovamente dicendogli che tutti i fratelli lo aspettano per cena e fa ritorno a casa, passando per vie dove sui muri sono affissi cartelloni con la foto di Rocco, involontario eroe del momento. FINE.

Un film possente che, in modo antagonista, racconta la sua verità sul boom economico, sulla distruzione che, in nome del benessere, ha portato in questo paese, nelle cose, nei paesaggi, ma soprattutto nelle persone. E Visconti lo fa con una regia perfetta potente, visionaria, politica.

La visione, osservazione,  di un piccolo microcosmo per esplorare e raccontare il più grande, il mondo che sta cambiando, stritolando consuetudini, valori e persone.

Il racconto delle migrazioni interne, che tanto hanno influito -nel bene e nel male- alla storia e ad un certo sviluppo del paese non è mai stata cinematograficamente mai osservata e raccontata con tale forza, acume ed onestà.

Un capolavoro da rivedere assolutamente.

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analogico_09
Inviato
2 ore fa, Partizan ha scritto:

Un capolavoro da rivedere assolutamente.

 

Ti è riarrivato l'inchiostro, Evandro? :classic_biggrin:

 

Capolavoro, lo avevo citato nel topic dei film dello scandalo per glin stessi motivi che ravvisi tu

 

3 ore fa, Partizan ha scritto:

Il racconto delle migrazioni interne, che tanto hanno influito -nel bene e nel male- alla storia e ad un certo sviluppo del paese non è mai stata cinematograficamente mai osservata e raccontata con tale forza, acume ed onestà.

 

aggiungerei: raccontato con tanto crudo, tragico realismo che veniva taciuto, nascosto o minimizzato dagli establishment del potere potitico e socioculturale reazionari che vennero scandalizzati letteralmente dal film di Visconti che scoperchiò le menzogne, le ipocrisie, il razzismo, il perbenismo di facciata di una certa borghesia abbiente del profondo nord.

La solita censura bigotto-catto-democristiana, attaccò duramente il film imponendo il taglio terribile, ancora oggi shoccante scena madre dello stupro di Nadia, a cui fa seguito l'assassinio della giovane donna ispirato al finale  della Carmen dell'omonima opera lirica.  Ipotesi che ci sta tutta, assolutamente compatibile con i vasti immaginari culturali, poetici, pluriartistici, umanisti ed altro ancora del grandissimo, coltissimo, irripetibile  Luchino Visconti.

La grandezza del film stainoltre nel fatto che il regista - prendendo spunto anche letteratura, da T. Mann e da Dostoevskji - racconta le vicende sociali delle migrazioni di tante persone, affrontando cioè quella spinosissima che poi verra chiamata "questione meridionale" (fino a che punto sarà possibile tracciare un parallelo con l'attuale dramma dei migranti stranieri?) in un film dalle molteplici tematiche e sottotestualità, attraverso i drammi esistenzial-familiari di un gruppo di famiglia in un esterno (sorta di preveggenza del film girato dallo stesso regista milanese molti anni dopo: "Gruppo famiglia in un interno") che assiste in una Milano straniante, ostile, fredda e nebbiosa all'implosione dell'arcaica concezione della famiglia tribale.

Non solo un capolavoro, bensì uno dei più granitici e significativi caposaldi di umanesimo, di umanità, di civiltà  della cinematografia italiana. Ogni tanto mi capita di pensare tra me e me cosa potrebbero pensare questi Uomini con maiuscola tornati ipoteticamente in vita di fronte al mondo come sia diventato oggi.
Potrebbe succedere quel che scrive Luis Bunuel, altro grande regista dell'umanitas chiudendo in tal modo la sua autobiografia scritta in vecchiaia intitolata "Dei miei sospiri estremi"
 

Adesso che mi avvicino all'ultimo respiro, immagino spesso un'ultima burla. Faccio convocare alcuni vecchi amici, atei convinti come me. Sono tristi, intorno al mio letto. A questo punto entra un prete, che ho mandato a chiamare. Con grande scandalo degli amici, mi confesso, chiedo l'assoluzione di tutti i miei peccati e ricevo l'estrema unzione. Dopo di che, mi

giro su un fianco e muoio. Ma si trova ancora la forza di scherzare, in quel momento?

Un rimpianto: non poter più sapere cosa succederà. Abbandonare il mondo in pieno movimento, come un feuilleton lasciato a metà. Credo che una volta questa curiosità del dopo morte non esistesse, o esistesse di meno, in un mondo quasi immobile. Una confessione: malgrado il mio odio per l'informazione mi piacerebbe risorgere dai morti ogni dieci anni, andare fino a un'edicola e comperare qualche giornale. Non chiederei di più. Con il mio bravo giornale in mano, pallido e smunto, rasente i muri, tornerei al cimitero e leggerei tutti i disastri del mondo prima di riaddormentarmi soddisfatto, al riparo rassicurante della tomba.

 

 

 p.s. - Forse Bunuel potrebbe aver preso l'idea dello scherzo del fine vita dall'ultima scena di Amici Miei di Monicelli, quella della morte del Perozzi che recita una supercazzola al prete come confessione  :classic_laugh: sempre che il regista spagnolo avesse visto il film. Dovrò fare una ricerca a tale riguardo...  :classic_cool: :classic_tongue:

 

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analogico_09
Inviato

 

Ho un po' strapazzato Parthenope, l'ultimo film di Paolo Sorrentino, sostenendo tra l'altro che l'ultimo film che abbia apprezzato, insieme ai due precedenti, sia stato L'Amico di Famiglia girato dal regista nel 2006.

Scrissi, dopo la conferenza stampa col regista che fece seguito all'anteprima di detto film, la seguente recensione che pubblicai nella rivista di cinema on-line che dirigevo, e in un blog della piattaforma Splinder che chiuse i battenti.

Vorrei condividerla qui anche un po' spinto dal senso di colpa, affatto  "peloso", per lo strapazzamento dell'altro film... :classic_rolleyes: 

Rivisto oggi, mi ritrovo ancora oggi con quel che scritti ai tempi.

 


L'amico di famiglia di Paolo Sorrentino                                             

Eine Symphonie des Grauens

Le lascivie mani di un vecchio e ripugnante usuraio s’insinuano nel petto di una giovane fanciulla. Artigli della Bestia, oppure di un Nosferatu che si concede alla “donna di cuore puro che gli fa dimenticare di ritirarsi al primo canto del gallo”?
La suggestione è forte, quasi irrinunciabile, durante la sgradevole ed emblematica sequenza in cui l’avido “vampiro”, che al posto del sangue si nutre di denaro (sublimazione di un eros/pathos negati?), concupisce la sua vittima disgustata dal senso di repulsione ed insieme forse inaspettatamente attratta dal desiderio.
Che sia anche, l’ultimo film di Paolo Sorrentino, l’ennesima rivisitazione del “mito del freak” detestato e isolato dall’umanità malata che cerca in tal modo di esorcizzare la propria degenerante solitudine? 
In fondo all’anima del solitario e deforme protagonista, mirabilmente interpretato da Giacomo Rizzo (che crea il suo personaggio, all’intermo della psiche),  attore di teatro, “caratterista” del cinema di sicuro valore, vecchia gloria nazionale purtroppo dimenticata dalla settima arte, risuonano le corde del mostro che “martirizza un colibrì d’amore tra i denti”.
Solo la “Bella” ingannatrice – apparentemente motivata da un’istanza di vendetta, “desiderosa” invero di confrontarsi con le proprie difformità morali “prendendo contatto” con le brutture di Geremia l’usuraio - riuscirà a trasformare l’estremo ed unico atto d’amore, di cui costui si rivela capace, in arma del suicidio.
Allentati i puntelli, la (sovra)struttura su cui caparbiamente si fonda l’inespugnabile cattiveria dello strozzino cede e diventa una patetica elegia della morte, naturale conclusione di una vicenda caratterizzata dalla lucida follia che non risparmia nessun personaggio. Morte dell’anima, in una sorta di beffardo e  tragico “canto” della sofferenza priva di catarsi.
Con L’AMICO DI FAMIGLIA, film pessimista e fatalista, con ironico disincanto tutto partenopeo, Sorrentino ripropone il tema universalizzato della solitudine umana,  presente anche nei suoi precedenti film, destinata a non trovare appagamento o riscatto neppure nell’amore, nell’eros, nel sentimento, annullando ogni convenzionale distinzione tra bellezza e bruttezza, dove in entrambe si annida identica, speculare degenerazione.
Sorrentino gioca con i registri della comicità e del dramma; si ride, si sorride nel suo film, si riflette, non si piange, ed è segno questo di buona salute in un panorama filmico italiano in cui spesso trionfa il sentimentalismo lacrimevole e ricattatorio. 

La sua cinepresa è intrigante e immaginifica, s’insinua con plastica sicurezza formale ed espressiva nel sordido e lercio antro del “mostro”, cogliendo il dettaglio e l’insieme, il segno della malattia spirituale che perverte e imprigiona chi lo abita.
La decadenza esistenziale e morale dell’usuraio, su cui si sofferma l’occhio del regista con brevi panoramiche ed “affettuosi” piani di ripresa ravvicinati, è rappresentata con la sola forza delle immagini. Le quali, accentuate alle “elgariane”, dolenti note del violoncello composte da Theo Teardo, più delle parole, dei dialoghi, riescono a tratteggiare con precisione lo spaccato caratteriale e psicologico del soggetto. In un crescendo di inquadrature d’elegante, mai gratuita bellezza, non sempre riscontrabili nel nostro giovane cinema, cogliamo il segno metafisico/lirico, quasi 'dechirichiano' nelle “fascistiche”, fredde geometrie architettoniche sabaudiane come in una sorta di metaforarica, raggelante assensa del sentimento che preme sotto la dura corteccia del “ruolo”.
Geremia de’ Geremei è a modo suo un “(anti)eroe”, uno specchio e una spina scoperta conficcata nel fianco del tessuto sociale sanguinante e che cerca di mascherare il proprio fallimento, le angosce, ogni immoralità, con l’ipocrita facciata del perbenismo apparente.
Mentre lui, l'usuraio, con la sua inseparabile, putrida e patetica busta di plastica - sorta di "scatola" segreta che forse cela un mondo di desideri infantili frustrati e oltraggiati, un residuo di umanità in un cuore di pietra -  che pendola da una mano durante il goffo e grottesco 'nosferatesco' incedere, è perlomeno cosciente del suo bastardo ruolo che ama definire, con sinistra (auto) ironia, “benefattore”. 
Qualche momento meno coerente della pellicola, che fila liscia e convince pienamente fino ad un buon tratto del secondo tempo, emergono nella didascalica caratterizzazione dei personaggi secondari; nella figura femminile che, come pure accade in LE CONSEGUENZE DELL’AMORE, ci è apparsa più debole sul piano introspettivo rispetto alla potente caratterizzazione dell'eccezionale figura del "vampiro" protagonista a cui Giacomo Rizzo dà letteralmenteil sangue e l’anima.
Altra nota negativa risuona nell’epilogo frettoloso, in ragione di uno script che vira ferso il comico fin troppo macchiettistico, dove ci saremmo aspettati un maggior ricompattamento dei registri drammatici.
Questo, pur senza rinunciare, Sorrentino, allo humor nero, alle sagaci battute del Geremia, al sarcasmo di amara ed insieme ilare comicità che pervade salvificamente l’opera. 
La copia che circolerà nelle sale italiane è stata accorciata di ben sei minuti rispetto alla versione presentata al festival di Cannes,  a detta dello stesso Sorrentino in conferenza stampa che con i tagli intendeva eliminate inoltre alcune sequenze ritenute inutili e/o ridondanti, eccessivamente esplicative.
L’intervento non ci è sembrato risolutivo, la zona d’ombra persiste, tuttavia L’AMICO DI FAMIGLIA resta l’esemplare progetto di uno spirito libero che fugge le vacuità estetiche che caratterizzano non di rado il cinema italiano ostentatamente, manieristicamente, abusatamente psico-socio-radical-esistenzial-chich, il quale dovrebbe prendere esempio da quest’opera con delle "imperfezioni" ma ugualmente stimolante, generosa e tonica.  


10 nov, '06, 8:11 p.m

 

p.s. - ll fazzoletto che porta in testa Geremia serviva a trattenere le fette di patata cruda che allievavano i mal di testa  che tormentavano il "nostro"... :classic_biggrin:


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analogico_09
Inviato
3 ore fa, analogico_09 ha scritto:

p.s. - ll fazzoletto che porta in testa Geremia serviva a trattenere le fette di patata cruda che allievavano i mal di testa  che tormentavano il "nostro"... :classic_biggrin:

 
Questa spiegazione mi ha ricordato come in un flash l'immagine del Nosferatu di Murnau che in una scena ambientata nel castello, mentre parla della vendita della casa con il sensale, indossa un copricapo che assomiglia in modo "sospetto" alla fascia indossa da Geremia... 

Sarà una coincidenza oppure Sorrentino avrà inteso rendere un semplice omaggio cinefilo al collega del cinema muto ... Chissa.., questo tuttavia rafforza in me l'idea di un film con sottotestualità vampiriche "nascoste", ipotetiche, frutto di coincidenze a limite fantasiose ma non del tutto peregrine
Sarebbe interessante sapere cosa potrebbe dirci lo stesso Sorrentino. La scena tra l'altro è quella in cui il vampiro osserva attreverso il medaglione del giovane candidato agli orridi sanguinolenti succhiaggi la foto della di lui bellissima consorte della quale il vampiro si invaghisce e che tenterà di raggiungere al più presto... Un po' quello chen succede ne L'Amico di Famiglia.., in entrambi i film vengono "venduti" i propri cari o care moglie e prteziose belle figlie in cambio dell'ebrezza che da' il denaro che da' il "potere"...

Sono ipotesi, speculazioni.., mi piacerebbe leggere qualche altro parere al riguardo...

 

 

nosferatu-il-vampiro-1922-friedrich-wilh

  • 2 settimane dopo...
analogico_09
Inviato

SANTA SANGRE - Alejandro Jodorowsky

 

Ho il DVD ma l'ho incontrato per caso su Prime ed ho iniziato a vederlo per curiosità, con l'intenzione di lasciarlo dopo un po', ma quel film "maledetto" mi ha di nuovo agganciato e l'ho visto fino alla fine di nuovo, avidamente, facendo le ore piccole.
Un altro film del "cuore", di quelli che, avendo lasciato in me un'impronta immaginifica indelebile, benchè non annoverabile, al netto dei critici pennivendoli di regime, tra i "capolavori" della settima arte, secondo i criteri critici più correnti, considero personalmente geniale e fondamentale all'interno del suo "genere" non genere forse di un genere "degnerato" per i benpensanti scandalizzati da se stessi dal propio moralismo ipocrita e colpevole.

Un'opera disturbante, degli orrori e insieme "educativa", un mix di violenza e di poesia tagliente, di humor negro spesso grottesco a volte tenero, beffardamente divertito. Basti pensare alle scene notturne ambientate nella sordida realtà metropolitana del delitto, pullulante di spacciatori di droga e di prostituite che "accontentano" il gruppetto di bambini down di una comuniutà ivi condotti per vedere un film smarrendo la retta via a causa dell'indifferenza degli accompagnatori ma, grottescamente, per la maggior gioia deigli stessi bambini... 

Un viaggio "straordinario" di grande qualità e varietà immaginifica, nella ricchezza dei colori dei sentimenti forti e laceranti, degli affascinanti tagli fotografici in grado di esprimere visivamente ogni situazione e stato d'animo, al pari della musica basata su canzoni popolari tristi e malinconiche, a sua volta trasfigurate in "testo" ed "immagine", condotto a bordo della potente regia e scrittura di Alejandro Jodorowsky, con ritmo implacabile e riflessivo attraverso le realtà di un Messico arretrato e controverso, afflitto dal senso indistinto del sacro, del sacrilego e della supersizione. Tra vicende che si svolgono dentro e fuori il Circo degli orrori e degli stupori, animato da elefanti morenti che finscono in pasto alla folla del sottosviluppo, mostrati come zombi viventi, indistintamente "vestiti" di bianco, il "prodotto" della miseria e della fame.
Clown patetici e candidi, personaggi del bene e del male, ed oltre le definizioni, della poesia e della violenza, con i colori del sangue e del tenero amore adolescenziale, il "rosso sangue" del furore sessuale omicida.
Esseri "strani", patetici, innocenti vittime delle loro stesse condizioni esistenziali alla deriva:  "freaks" che mi hanno evocato il vago ricordo dell'omonimo, leggendario film di Tod Browining.
Eccessivo, visionario e delirante, umanissimo, surreale, esoterico, pregno di simbolismi nell'approccio narrativo antropologico e psycho_socioesistenziale, c'è di tutto in questo film "inclassificabile" come i due precedenti cult mitologici generazionali: "El Topo" 1971 e "La Montagna Sacra" 1973.

Ma stiamo evidentemente parlando di un altro film scritto e diretto da uno dei registi più atipici, fuori da ogni scia mainstreams della storia del cinema, del singolarissimo, stupefacente "Santa Sangre", 1989, uno degli ultimi grandi film di un regista visionario dotato di quel coraggio, di quella grande arte che gli permettevano di mostrare le verità tragiche del luoghi "secondi e terzi" del mondo come il cinema attuale non è più in grado di raccontare o che non sappia più farlo fuori dagli schemi più conformisti e condizionanti in maniera indipendente e non soggetta agli interessi commerciali e di potere delle "oligarchie "cinematografiche conformiste, per così dire.

 

 

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  • Melius 1
  • 5 mesi dopo...
analogico_09
Inviato

 

Heimat Una cronaca tedesca, di Edgard Reitz, 1984, Germania. 


In questi giorni ho visto tutti e 7 i film (nei quali vengono distribuiti gli 11 episodi della serie come da progetto originale) di un celebre capolavoro che ottenne un grande successo di critica. Me lo persi all'epoca, provando nel corso tempo qualche rimorso.
Ora è in Prime, versione integrale, magnifica copia 4k. Credo sia anche in DVD

Un'opera grandiosa dal respiro potente: storie di una famiglia contadina che vive in un paese immaginario della renania le quali coincidono con gli eventi della Germania che vanno dal 1919 fino a 1982. Una storia tedesca dal respiro universale che ricorda per molti versi le nostre stesse vicende attravresata  dal (nazi)fascismo.

Una narrazione priva di moralismi, di prese di posizioni ideologiche e manichee; un racconto apparentemente distaccato,  invero di forti contenuti emozionali ed intellettuali; una sorta di "come eravamo" senza gigionerie passatistiche e stucchevoli nostalgie con rimpianti e languidezze di vieto sentimentalismo (un po' all'italiana.., lasciatemelo dire) .
Nessun giudizio, la sola esposizione dei fatti liberamente interpretabili, libero lo spettatore a sua volta di interpretare  e "sentire" in proprio durante il processo di identificazione con i personaggi di questa famiglia europea.., si ha come l'impressione che Reitz fosse stato attraversato da una preveggenza della UE.., e della sua rottura... ? ...
Perchè quella di Reitz è una regia che porta lo spettatore a ritrovarsi nei fatti morali  e nelle cose fisiche dei dimenticati - da noi, oggi, qui - lavori campestri, dei ferri battuti dai fabbri sull'incudine, sui chiodi fatti passare per il ferro di cavallo anche dove non siano state vissute direttamente situazioni analoghe, affascinati e spesso abbagliati dalla struggente fotografia che alterna "stategicamente" il colore e il bianco e nero.
Esemplari ricostruzioni ambientali d'epoca, location di grande suggestione, non c'è mai posto per gli esteticismi vuoti e fini a se stessi. Un nutrito cast di interpreti davvero fantastico con volti che restano scolpiti nella memoria. 

Mi fermo, per ora o magari a amai più... ci sarebbe troppo da "recensire", non si finirebbe mai di parlare di questo capolavoro assoluto patrimonio dell'umanità (15 ore e mezzo di durata, 924 minuti trascorsi senza accorgermene).

Chi lo avesse visto è invitato a parlare ora o mai più... :classic_wink:


Non metto mai i voti, ma se li devo mettere niente mezze misure: 10 

 

 

heimat-1984-film.jpg

 

  • Melius 1
  • Thanks 1
Inviato

@analogico_09 Una segnalazione davvero preziosa, anche io all'epoca mi sono perso "Heimat". 

analogico_09
Inviato
20 minuti fa, selby998 ha scritto:

Una segnalazione davvero preziosa, anche io all'epoca mi sono perso "Heimat". 

 

 

Non perdere questa ghiotta occasione! :classic_smile:

Inviato

Ho visto Heimat, Heimat 2, Heimat 3 e L'altra Heimat. Sulle versioni successive alla prima si può anche discutere, ma su Heimat non c'è a mio parere personale alcun aggettivo adatto se non "capolavoro". Concordo anch'io sul 10. Per chi ama il cinema una visione imprescindibile.

  • Melius 1
Inviato

Mai visto,se ricordo bene fu fuori orario a proporlo per primo in TV.

Appena finisco con Herzog,inizio a vederlo.

analogico_09
Inviato
5 minuti fa, Napoli ha scritto:

Mai visto,se ricordo bene fu fuori orario a proporlo per primo in TV.

 

 

Si, passò in TV ma non ricordo come e dove vennero gestite le proiezioni "seriali", orobabilmente da Ghezzi ma non ricordo proprio perchè me le feci scappare da sotto il naso.
Cmq, dico in generale, una semplice precisazione, questa opera organica non ha nulla a che fa con il carattere delle telenovbelas o delle serie televisive che sono esplose negli ultimi anni, abbiamo 7 film veri e propri, per 11 episodi, che pur essendo collegati dal tenace filo della saga familiare, ciascuno presenta il suo grado tensione formale, espressiva, emotiva, figurativa puramente cinematografica. Un po' come Twin Peaks ma più realistico e meno surreal-visionario del progetto lynchiano. 

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