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"Io te voglio bene assaje": l’alba della canzone napoletana


Luigi Settembrini, patriota unitario e scrittore, aveva fondato la società segreta "Figliuoli della Giovine Italia" che ben presto fu scoperta dalla polizia borbonica. Arrestato nel maggio 1839 e tradotto in carcere, il Settembrini seppe con abile difesa, strappare ai giudici una sentenza assolutoria, sebbene il procuratore generale avesse chiesto per lui 19 anni di ferri.

Il re Ferdinando II di Borbone forse se la prese ma restò in silenzio, non parlò né di giudici comunisti né di separazione delle carriere. :classic_rolleyes:

 

Nelle “Ricordanze della mia vita”, rievocando il periodo di questa sua carcerazione, il Settembrini così scrive: "Una mattina udii di lontano una voce di donna che cantava soavemente, e mi parve come un balsamo sopra la piaga. Si trovò ad entrare il Liguoro ed io lo domandai: chi è che canta così bene? - È mia figlia. - E che canzone canta? - La canzone nuova, Te voglio bene assaje, e tu non pienze a me. Vi piace? Ebbene le dirò che la canti spesso. Tre belle cose furono in quell'anno: le ferrovie, l'illuminazione a gas e Te voglio bene assaje”.

Una grotta ai piedi di Posillipo


Parco_della_Grotta_di_Posillipo10.jpgLa Festa di Piedigrotta, un evento secolare che animava la città con musica e celebrazioni, fu il palcoscenico sul quale "Io te voglio bene assaje" conquistò il cuore del pubblico. Qui, le canzoni nascevano, si diffondevano e diventavano parte della memoria collettiva.


Già nel I secolo a.C. nei pressi della Crypta Neapolitana, nota anche come grotta di Posillipo, si praticavano culti pagani. Questo luogo, il cui ingresso principale si apre ancora oggi a Mergellina, all'interno di un sito che custodisce la tomba di Giacomo Leopardi e quella attribuita a Publio Virgilio Marone, era un centro di riti orgiastici. Petronio Arbitro, nel suo Satyricon, ci offre una testimonianza di queste pratiche, descrivendo baccanali sfrenati che si svolgevano in onore del celebre Priapo, divinità della fertilità e della natura rigogliosa.

Dopo vari accadimenti si arriva al 1353 quando fu edificato il santuario de pedi grotta, con la sua festa, che fu fissata l'8 settembre, giorno della natività di Maria. Il popolo napolitano prese ad radunarsi nella grotta di Posillipo ogni anno alla festa di Piedigrotta e lì a sfidarsi a cantare improvvisato, la canzone giudicata più bella ripetuta da tutti era la canzone dell'anno.
 

Nel corso dell'Ottocento, la Festa di Piedigrotta conobbe una significativa evoluzione. Da evento legato a espressioni musicali tradizionali e orali, si trasformò progressivamente in una rinomata vetrina per la canzone d'autore.  Se inizialmente la festa era caratterizzata da repertori musicali di tradizione orale come tammurriate, tarantelle e canti devozionali, intorno agli anni ’40 le canzoni iniziarono ad essere attribuite ai loro autori, assumendo caratteristiche stilistiche diverse a seconda del temperamento artistico di chi le componeva. Con la nascita di composizioni musicali scritte e concepite specificamente per l'intrattenimento si verificò il passaggio “dalla canzone della festa” alla “festa delle canzoni”, un cambiamento che segnò una tappa importante nella storia della musica napoletana e non solo di questa.


Le canzoni napoletane presentate a Piedigrotta attirarono l'attenzione diPiedigrotta-Ricordi.jpeg.4a2f5e78206f63ae0bac09dc90db5281.jpeg importanti case editrici musicali, sia di rilievo nazionale come Ricordi, sia locali come Casa Bideri, particolarmente attiva nel settore della canzone napoletana.  Questi editori compresero il notevole potenziale di questo genere musicale. L'intervento del milanese Ricordi, in particolare, rappresentò una svolta decisiva, trasformando la canzone napoletana in un prodotto commerciale di grande diffusione.

In questo modo, la musica popolare si affermò come fenomeno di massa, assumendo una duplice natura: espressione autentica della cultura popolare e al contempo prodotto industriale destinato a un pubblico sempre più ampio.


La Festa di Piedigrotta si rivelò un'importante piattaforma di lancio per i più talentuosi autori e interpreti dell'epoca, tra cui Salvatore Di Giacomo, Libero Bovio, Ernesto Murolo, Eduardo Di Capua e Ferdinando Russo. Le loro creazioni, spesso realizzate in occasione dei concorsi di Piedigrotta promossi dalle case editrici, hanno contribuito in modo fondamentale a costituire quel ricco e variegato repertorio che oggi identifichiamo con il nome di Canzone Napoletana.


Nascita di una melodia immortale
La canzone napoletana, nelle sue prime espressioni popolari, si caratterizzava per una profonda malinconia sentimentale, specchio delle sofferenze e delle speranze del popolo (qualcuno ha detto blues? :classic_biggrin:). 

Successivamente ci fu una evoluzione con l'avvicinamento allo stile della romanza, l'acquisizione di una forma più strutturata e l'adozione di un linguaggio più raffinato. Parallelamente, il gusto del pubblico cambiava, nuove tendenze musicali influenzavano il ritmo, che si faceva più vivace e saltellante e la "nenia", espressione tipica del canto popolare più antico, scomparve gradualmente, segnando un allontanamento dalle radici marinare e dalle fatidiche rive di Posillipo.

 

In questo contesto di transizione si inserisce "Io te voglio bene assaje", un brano che pur non potendo essere considerata la primissima canzone napoletana d'autore dell'Ottocento (esistono infatti composizioni precedenti di autori come Maria Malibran e Gaetano Donizetti), tuttavia questa canzone rappresenta un esempio emblematico di questa fase di passaggio, una tra le prime canzoni a subire questa trasformazione, anticipando il futuro della musica leggera italiana.

Presentata alla Piedigrotta del 1835, la sua struttura strofica, anticipa la forma strofa-ritornello, si compone di ottave suddivise in due quartine, con versi settenari (o ottonari) e senari, e rime che seguono lo schema ABBC-DEEC. Il cuore pulsante della canzone è il "ripeto obbrecato", il verso "Io te voglio bene assaje / e tu non pienz’a me", che si ripete in ogni strofa, trasformandosi in un vero e proprio tormentone.

 

Raffaele SaccoLa paternità della musica è stata a lungo dibattuta. Inizialmente attribuita a Gaetano Donizetti, questa ipotesi è stata smentita da ricerche recenti. Gaetano Amalfi ha suggerito che l'autore potrebbe essere Guglielmo Cottrau, o che questi abbia attinto a fonti popolari. Raffaele Di Mauro ha proposto il nome di Vincenzo Battista, mentre le informazioni più recenti indicano Filippo Campanella come compositore. L'unica certezza rimane l'autore del testo, Raffaele Sacco, ottico (fondò il primo negozio di ottica in Italia, in via della Quercia), scienziato, accademico, inventore... e bon vivant tombeur de femmes nel tempo libero. L'adattamento di Cottrau ha giocato un ruolo cruciale nella diffusione della canzone in Europa, mentre l'uso sapiente del crescendo emozionale e l'equilibrio tra testo e melodia ne fanno un capolavoro del genere sentimentale.


Successo e critiche

Escludendo possibili stampe precedenti su fogli volanti, è questa la prima versione della canzone pubblicata per canto e pianoforte: Io te voglio bene assaje. Nuova canzone napoletana, Girard e Co. n. 4825, 1840. Anonima, in Si bemolle maggiore, testo di quattro strofe.

La risonanza della canzone fu straordinaria, il successo fu di dimensioni tali da suscitare anche commenti 753318_Canzoni_napoletane_Noseda_A.6___011.tif.jpgstizziti per l'ossessionante ubiquità della melodia cantata in tutta la città tanto che il giornalista Raffaele Tommasi, il 6 agosto 1840, sul settimanale letterario Omnibus, scriveva: «Sfido chiunque dei miei lettori a dare un passo, o a ficcarsi in un luogo dove il suo orecchio non sia ferito all'acuto suono di una canzone, che da non molto da noi introdottasi, trovasi sulle bocche di tutti, ed è venuta in sì gran fama da destar l'invidia dei più valenti compositori».


Le critiche di Totonno Tasso, poeta popolare, evidenziavano un cambiamento nel gusto del pubblico, il brano introduceva una novità che si discostava dalle forme più tradizionali della canzonetta napoletana, in realtà questo mutamento rifletteva le trasformazioni sociali ed economiche di Napoli, con l'emergere di nuove classi e influenze culturali.


Un ponte tra le epoche
La melodia di "Io te voglio bene assaje" si diffuse rapidamente, superando i confini cittadini per raggiungere un pubblico sempre più vasto. Guglielmo Cottrau (capostipite di una famiglia di compositori ed editori, detto il "parigino di Mergellina") contribuì alla sua rielaborazione e diffusione, mentre artisti del calibro di Luciano Pavarotti, Massimo Ranieri, Roberto Murolo e ne hanno mantenuto viva la memoria attraverso le loro interpretazioni. Il brano, inizialmente radicato nella cultura popolare, divenne così un ponte tra epoche e stili diversi.
 


In copertina: Vincenzo Migliaro, Piedigrotta (la festa di Piedigrotta), 1895

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10 Commenti


Commenti Raccomandati

analogico_09

Inviato

"La canzone napoletana, nelle sue prime espressioni popolari, si caratterizzava per una profonda malinconia sentimentale, specchio delle sofferenze e delle speranze del popolo (qualcuno ha detto blues? )."

Presente! :classic_biggrin:

 

 

Battute non troppo facete a parte, pur nelle ovvie e rimarchevoli dissomiglianze musical-formali, storiche, antropologiche, socio-culturali, in questi mondi fortemente emotivi ed emozionali, franti dal sentimento profondo e lirico della nostalgia, all'origine dell'ispirazione artistica, pur legati all'urgenza del presente, così lontani, così vicini, in entrambi i generi musicali corre quel filo sottile e tenace che senza mai spezzarsi lega insieme la gioia e il dolore, la festa della vita e il rito della morte, con a volte uno scambio di posizione. In ogni musica popolare  elettivamente "improvvisata", nel canto malinconico oppure allegro come nel suono di uno strumento che cerca di farsi "voce", vi è il desiderio, il bisogno di di comunicare una forma di espressione, il senso condiviso del cum-patimento che gli antichi chiamavano pathos che viene rinominato, a seconda delle differenti realtà culturali con duende, feeling, saudade, fado... c'è un nome specifico per la musica napoletana? Pino Daniele cantava che A me me piace 'o blues

... quindi potremmo chiudere con questo il cerchio?

Ovviamente no, ed proprio il tuo interessantissimo saggio sulla musica partenopea, complimenti davvero per  la sintesi tutt'altro che avara e la chiarezza espositiva, a portarci in altri "altrove per alcuni dei quali avevo appena un sentore che ora potrò approfondire, prendendo come spunto la bellissima canzone, romanza?, che da' il titolo allo scritto.

Mi ha colpito questa osservazione (non so perchè non mi fa quotare)

 

"Dopo vari accadimenti si arriva al 1353 quando fu edificato il santuario de pedi grotta, con la sua festa, che fu fissata l'8 settembre, giorno della natività di Maria. Il popolo napolitano prese ad radunarsi nella grotta di Posillipo ogni anno alla festa di Piedigrotta e lì a sfidarsi a cantare improvvisato, la canzone giudicata più bella ripetuta da tutti era la canzone dell'anno."

 

Ecco.., fenomeno che si registrava fino a pochi decenni fa c'erano musiche, canzoni che si scolpivano persistentemente negli immaginari di un'intera comunità socio-culturale che si  riconosceva collettivamente in esse; spesso bastava rispondere con una di queste canzoni a mo' di allusione.., e senza parlare ci si capiva.., sembrava come se la musica, la melodia, il ritmo, fossero diventater parole, linguaggio, strumenti delle emozioni, del piacere, del dolore, in grado di pronunciare al posto delle parole una confessione d'amore, se non anche, prendendola sul lato sarcastico, un sentimento di contrarità, delusione, derisione, ad libitum.

E di canzoni ne fiorvivano realtivamente poche.., forse il giusto e ce le facevamo bastare.., forse perchè proponevano contenuti profondi nell'apparente semplicità, testi e sottotesti, quanti sottintesi, ammiccate, strizzatine d'occhio.., non ci si stancava mai di cercare un altro significato. Forse noi eravamo ingenui e le canzoni più avanti di noi... Uso il plurale non maiestatis.., per comodità lessicale.
Da un certo punto in poi, non fu più così...  come tutto il resto delle "cose" della vita e dell'arte giunsero i tempi dell'avere tanto, tantissimo, tutto e subito, tutto pewr "avere" non già più per "essere". Ora nel giro di poco tempo escono canzoni a tutto spiano.., si unasno e consumano giusto il tempo per passare alle prossime stampate in tempi da cottimo... Di questo tanto ci resta niente.., ma non è colpa di nessuno, è la società che è cambiata, a ben vedere però in fondo la società siamo noi... Pensiamo a san remo che in 5/5 giorni "vomita" canzoni a tutto spiano... se hai tempi di Bobby Solo la lacrima sul viso bagnava tutta la popolazione italiana per un anno intero, se non di più, adesso cosa resta di canzonette ascoltate e subito dimenticate - le cposce e glutei al vento della divetta stonata? - ognuno compra il suo dischetto o si mette in ascolto streaming ed è finito il senso della canzone che era si un tempo popolare e riuniva le genti sotto la sua desiderata e libera monarchia...  Addio chitarre magari strimpellate e coretti pure stonati.., ma parlomeno ci si riuniova e si cantavano tutti insieme le canzoni generazionali per anni ed anni.., e vai di Lucio Battisti, Guccini, De Andrè, e successivi... 

 

Mi scuso se sono andato un po' nei dintorni., ma questo mi fa tornare al punto di partenza, alle suggestive descrizioni che ne fa @appecundria alle belle feste che c'erano una volta e ci saranno ancora nei luoghi mitici e magici della  musica psrtenope fatta di canzoni e danze popolari, che vanno ad onore della musicalissima, colta città mediterranea che ha per nome Napoli. Io sono abruzzese ma la amo molto, dopo il turco napoletano, corre l'obblico di integrare con un abruzzese napoletano... :classic_biggrin:

Mi piacerebbe magari al più presto riprendere il discorso delle origini, delle influenze, esportazioni ed importazioni attraverso cui si è sviluppata la realtà della canzone napoletana, magari riunendo con ciò che ho scritto recentemente nel topic dedicato a Roberto Murolo e alle sue personalissime interpretazioni.

 

 

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appecundria

Inviato

7 ore fa, analogico_09 ha scritto:

duende, feeling, saudade, fado... c'è un nome specifico per la musica napoletana?

Quel nome è appocundria (a volte scritto appecundria), generalmente considerato intraducibile in italiano. 

  • Thanks 1
analogico_09

Inviato

3 ore fa, appecundria ha scritto:

Quel nome è appocundria (a volte scritto appecundria), generalmente considerato intraducibile in italiano. 

 

 

Leggo da Fanpage.it

 

 

I dizionari la definiscono come semplice “malinconia”, ma qualunque napoletano saprebbe spiegarvi come in realtà questa parola racchiuda in sé significati molto più complessi, difficilmente traducibili. È infatti impossibile spiegare il suo significato in italiano senza ricorrere a lunghe perifrasi: la pucundria indica uno stato d’animo senza contorni ben definiti, una tristezza dolorosa che si avvicina alla malinconia ma che si trascina dietro anche la noia, l’insoddisfazione e la solitudine.

continua su: https://www.fanpage.it/cultura/apucundria-lorigine-e-il-significato-del-termine-napoletano-pieno-dinesprimibile-malinconia/
https://www.fanpage.it/

 

Questo stato di indefinitezza emotiva e spirituale, mi fa pensare alla sehnsucht romantica tedesca, alla añoranza spagnola, entrambi stati d'animo diversi e simili, ancor più indefiniti della nostalgia a sua volta piena di vaghezze.

Nostalgie, solitudine, tristezza. Felicità, perchè no?
"In quasi ogni tipo di felicità c'è un elemento di añoranza, perchè la mente si concentra di più sulle cose di cui viene privata".  (Gerald Brenan - A sud di Granada il più bel libro sullo spirito "occulto" della Spagna scritto da un inglese che fanculizzato lo spocchioso Bloomsbury Group londinese se ne andò a vivere tra le capre nell'Alpujarra ai piedi della Sierra Nevada)

Sembrerebbe che anche l'appecundria potrebbe rappresentate qullo "strano" stato di nostalgia per ciò che non si sia realmente vissuto se non all'interno del proprio immaginifico lirico, onirico, irreale ma che colpisce nel profondo della coscienza e dell'es". Non c'è inoltre una felicità senz'anche un dolore e un dolore senza una felicità. E' nella natura ambigua, "appecundriaca" della vita.

Non vorrei ora spingermi ancora oltre nel rapportare l'appecundria anche allo spirito "cool" di quel jazz davisiano che non volle essere "freddo" e che tale non fu, mentre si creava la necessità per i neri razzistati di porsi in una condizione di distacco, di calma filosofica, saggia ed atavica, senza lasciarsi impressionare dal male di vivere quotidiano benchè nella Napoli più popolare dei "bassi" non fu come nelle remote, orribili provincie degli states del sud. Altro sinonimo: Blasè ... (Archie Shepp) : indifferenza, scetticismo, forma di snobismo popolare sarcastico e sagace, un po' alla "pernacchia" di Eduardo de Filippo...

Per dirla con una canzone popolare della appecundria napoletana, canzone della nostalgia semplice e profonda, di una sua certa nobile ed asciutta sentimentalità (segretamente disincantata) non paragonabile ma associabile in qualche misura alla sehnsucht  di un lied schubertiano, mi perdoneranno i veraci abitanti del golfo partenopeo e i classicofili le mie eresie... 

 

Di LIbero Bovio, insieme a Salvatore di Giacomo e altri fautore dell'epoca d'oro della canzone napoletana.

 

 

 

 

 

 

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pfrullo

Inviato

3 hours ago, appecundria said:

Quel nome è appocundria (a volte scritto appecundria), generalmente considerato intraducibile in italiano. 

Sarebbe ipocondria nel senso più radicale; melanconia, così come veniva interpretata nel '500. Con un pizzico di "spleen".

  • Thanks 1
pfrullo

Inviato

Una volta a teatro, mi pare Natale in Casa Cupiello, ero piccolo: Eduardo a letto con in capo una specie di straccio (né una papalina, né altro di dignitoso)... Quello era il simbolo dell'apatia come rifiuto del faticoso mondo esteriore. Fu un'immagine che mi colpì più di ogni altra cosa nella commedia. Ripeto, ero piccolo, ma quello lo capii immediatamente e molto bene. Fantastico!

  • Thanks 1
analogico_09

Inviato

6 ore fa, pfrullo ha scritto:

Quello era il simbolo dell'apatia

 

 

Simbolicamente potremmo considerarlo tale. Ma nella realtà della commedia si trattava più che di apatia esistenziale e strategica degli effetti del "colpo" in capo che gli avevano fatto pigliare in famiglia al poveruomo oramai rincitrullito che dopo una vita di lavoro amava trascorrere i suoi giorni in serenità con presepi e altre piccolezze con le quali non faceva del male a nessuno... :classic_sad:

  • Haha 1
pfrullo

Inviato

L'anno scorso un signore mi ha detto: "Napoli è bella, ma è abitata da diavoli!"

D'altra parte in Italia abbiamo solo tre Città intese come metropoli culturali: Roma, madre di tutte le città; Milano, una donna italiana vestita da uomo tedesco; e Napoli.

 

pfrullo

Inviato

Napoli è città fatale. Lo è in essenza. Napoli può trasformare qualunque evento significativo attribuendogli un valore sacro e scaramantico. La sua anima profonda è devota e cultuale senza che ciò richieda un dio specifico.

I numeri del lotto, Gennaro, Maradona, la musica, la rivoltella, i morti sono presenze onnivore dai confini incerti.

La magia può essere sentimentale, luttuosa, gioiosa o violenta: dipende dagli interpreti.

Quindi per me Napoli è la città più dionisiaca del pianeta, insieme forse a Rio de Janeiro. Mentre i napoletani colti sono coloro che sanno distillare ed equilibrare la sua sostanza caotica.

  • Melius 2
analogico_09

Inviato

@pfrullo Dovresti scrivere tu le sceneggiature su Napoli a Sorrentino... :classic_biggrin:

 

Non conosco bene Napoli, ma in un modo o nell'altro nella mia famiglia c'è stata sempre una presenza di napoletanità, da piccolo andavao al mare dai parenti di Torre Annunziata, lo zio "Pacchianello" mi portava la sera al cinema a vedere Dodzilla; il primo primo regalo giocattolo importante, una macchina da corsa rossa fiammante e di latta tosta, che quando tornai al paese l'amichetti me la invidiavavano mentre facavano la fila per il giretto che generosamente concedevo loro ... :classic_laugh: me la comprarono alla Rinascente di Napoli; ero nel coro le due volte che demmo un concerto all'auditorio della Rai di Napoli con la prestigiosa orchestra Alessandro Scarlatti che fu in seguito segata come quella di Roma; avevo un zio, marito di una sorella di mia madre che si chiamava Murolo, Lino/Pasquale di famiglia abbiente, un po' "blasè e "dissidente", alquanto avventuroso, nato come cantante che non ebbe il successo che cambia la vita, benche si diceva fosse bravo, morto da attore cinematografico, un buon caratterista, non per parti importanti ma più che semplice comparsa o figurante, veniva chiamato da Rosi, Petri, Comencini  per film importanti, anche dalla televisone. Faceva il gangster in quella serie famosa semi musicale che si chiamama Laura Storm, con Lauretta Masiero.., davvero ricordi del medioevo...

Mi piaceva molto stare in sua compagnia,. mi raccontava un sacco di cose divertenti di napoli e quando non di napoli con spirito partenopeo, mai banali, con quell'accento napoletano un po' cantilenante...

Per tornare alla musica, trovai un 45 giri che contiene la "Canzone Appassiunata" scritta da E.A. Mario ** cantata da Lino Murolo.

Nessuna data di registrazione (la canzone composta nel 1922) od altra info è stata postata da un collezionista che nel suo canale ha tanti dischetti antichi nel vero senso della parola...

 

Da wiki, una voce sctitta interamente in napoletano... divertente 🙂

 

 

** Ermete Giovanni Gaeta, cchiù ncanusciuto comme E. A. Mario (Napule, 5 'e maggio 1884 - 24 'e giùgno 1961), è stato nu autore 'e paricchhie canzone 'e granne successo, deventate po'assaie famose e ca nun canosceno fine, come pe' aesempio La leggenda del Piave.

'E canzone fujeno scritte e musecate, cierte inte 'a lengua taliana, ate dinte 'a lengua napulitana; 'e chisti piezze, quase sempe, screveva sia 'e parole ca 'a museca.

È stato sicuramente uno fra 'e cchiù gruosse e mpurtante rappresentante d’’ a canzona napulitana d’’ a primma mità d’’ o Noviciento e uno de' prutaguniste prencepale d’’a canzona taliana da' primma uèrra munniàle nfino a ll'anne cinquanta, sia p’’a granne pruduzzione - ca era na cunzeguenza d’’a felice vena puoetica ca nun ferneva maje- ca 'a qualità 'e l' opere soje.

 

 

 

 

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  • Amministratori
cactus_atomo

Inviato

bello e interessante, una finestra sulla genese della camzone napoletana

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