damiano Inviato 25 Marzo Inviato 25 Marzo 16 ore fa, analogico_09 ha scritto: C'è una divertente intervista di Gianni minà realizzata in quel frangente che si tenne proprio al Music Inn in forma Bellissima! Ciao D. 1
Questo è un messaggio popolare. damiano Inviato 31 Marzo Questo è un messaggio popolare. Inviato 31 Marzo Un decennio dopo il suo arrivo a New York e la "trasformazione del jazz a venire", Ornette Coleman acquistò una cooperativa. Non era alla ricerca di immobili di valore quando acquistò due piani di una ex fabbrica in Prince Street, nel cuore insanguinato dell'allora brullo quartiere post-industriale noto come SoHo. Era il 1968 e il sassofonista, che aveva gettato le basi del free jazz, voleva un posto dove poter comporre, dormire, giocare a biliardo e ospitare i concerti degli amici. La sua residenza di 10.000 metri quadrati al terzo piano era arredata in modo spartano, secondo la moda bohémien del centro, con una zattera gonfiabile che usava come divano e un uccello myna che accoglieva gli ospiti. Al piano terra c'era uno spazio per concerti e prove che chiamò "Artists House" e che prestò ai colleghi musicisti quasi gratuitamente. Pochi anni dopo, negli anni Settanta, jazzisti a bizzeffe cominciarono a sfruttare appartamenti, negozi, gallerie e magazzini come locali per concerti, dando vita alla leggendaria scena dei loft del genere. L'Artists House ha anticipato questo ethos generoso e i suoi muri sottili tra casa e lavoro. Un album del 1972, realizzato da Coleman mentre viveva nel suo pertugio urbano, anticipava l'estetica del movimento: La visione afrofuturista di Science Fiction, che prescinde dal suo stile, è animata dalla vita di città, registrando un momento insolito nel tempo che Il texano aveva già influenzato in modo indelebile la generazione del loft con il suo mitico periodo tra il 1959 e il 1962 su Atlantic, durante il quale aveva praticamente riscritto il linguaggio del suo mezzo. Coleman abbandonò i centri tonali fissi e impalcò la scala cromatica con quarti di tono, talvolta suonando un contralto plastico e fiammeggiante. Si è fatto beffe delle aspettative, ma ha basato la sua originalità su un'ampia gamma di tradizioni musicali. L'educazione di Coleman a Fort Worth, dove nacque nel 1930 e crebbe in una serie di minuscole baracche affittate, lo inondò di big band, bebop e di un tipo di canzoniere americano espanso - spirituals, ragtime, blues, R&B, Tejano, Western swing - che precedeva il jazz o lo modellava in un vernacolo regionale. Science Fiction è un gradito ritorno al melodismo cantabile e quintessenzialmente sudista che ha fatto da contraltare alla sua spavalda opera iniziale, ma che era sempre più assente dai suoi lavori più recenti. Riflette anche le connessioni che si sono allargate alla Artists House. E soprattutto sono le avvisaglie della trasformazione seguente: la teoria Armolodica. Ciao D. 3 1
analogico_09 Inviato 31 Marzo Autore Inviato 31 Marzo 5 ore fa, damiano ha scritto: Prince Street ... Era il 1968 e il sassofonista, che aveva gettato le basi del free jazz, voleva un posto dove poter comporre, dormire, giocare a biliardo e ospitare i concerti degli amici. Erano anni di grande, instancabile creatività, il jazz cercava nella sua stessa tradizione l'innovazione, incorporando elementi musicali di altre origini analoghe, saldature che creavano forma compiute organiche sotto l'egida del jazz che anni dopo ritroveremo perso nelle (con)fusion nelle quali il jazz sin perderà senza trarne nuova linfa vitale per seguitare a vivere, a creare, impantanandosi nella maniera più routiniera e prevedibile. Ottimo pezzo, Damiano, Science Fiction è uno dei miei album preferiti di Coleman. 2
Questo è un messaggio popolare. minollo63 Inviato 8 Aprile Questo è un messaggio popolare. Inviato 8 Aprile Arrivare ad incidere il primo disco come solista alla veneranda età di 100 (!) anni credo sia un traguardo non da tutti. Ma il sassofonista e compositore statunitense Marshall Allen, già leader della Sun Ra Arkestra ha voluto festeggiare così il raggiungimento del secolo di vita (infatti ne farà 101 a maggio di quest’anno), continuando comunque ad esibirsi live con il suo gruppo, quando la distanza da Filadelfia dove risiede glielo permette… Il disco si intitola emblematicamente "New Dawn" (Nuova Alba) ed è un lavoro che mescola passato e futuro, legando la sua lunga carriera a nuove esplorazioni sonore, con sette suoi brani inediti che offrono così una panoramica completa del suo universo musicale. Ciao ☮️ Stefano R. 4 1
analogico_09 Inviato 8 Aprile Autore Inviato 8 Aprile Bella segnalazione, abbiamo parlato tante volte di questo giovane vecchietto ancora in grado di interpretare un jazz vigoroso fatto di tradizione, di modernità ed avanguardia il tutto fuso insieme anche secondo l'inestimabile "insegnamento" del demiurgo Sun Ra che capitanava le Arkestra che si pregiava dellìindispensabile contributo del grande Maresciallo Allen! L'anno scorso festeggiammo in queste pagine il sui 100 anni di vita e di musica. Seguitammo a parlarne nella pagina successiva che segnalo https://melius.club/topic/1001-jazz/page/71/ in modo da riprendere eventualmente la chiacchierata da qualche info già pronta Proprio ieri riascoltavo l'altosassofonista dal disco del pianista Paul Bley, "Barrage", ottimo jazz molto coeso e bene strutturato, direi, usando un termine inventato a braccio, un free jazz "rassicurante" per chi non strasenta per il free attraverso il quale Allen da' prova delle sue capacità di adattamento, di controllo sul piano del virtusoismo strumentale e delle profondità espressive, con ogni tipo di organico. Qui è parte del prestigioso quintetto capitanato da Bley, piano; Dewey Johnson, tromba; Eddie Gomez, bass; Milford Graves, perscussioni. Un album da non perdere.
egalli Inviato 10 Aprile Inviato 10 Aprile @minollo63 Ottima segnalazione per un grande e adorato (da me sicuramente) musicista...ma non sono sicuro che sia il suo primo disco come solista...io ho questo del 1999, boh...certamente non ha inciso tanto come solista (anzi davvero poco poco) 1 1
analogico_09 Inviato 10 Aprile Autore Inviato 10 Aprile 3 ore fa, egalli ha scritto: certamente non ha inciso tanto come solista (anzi davvero poco poco) Effettivamente... Bisognerà quindi non lasciarsi scappare le pochen chicche. 1
analogico_09 Inviato 10 Aprile Autore Inviato 10 Aprile Il 08/04/2025 at 18:34, minollo63 ha scritto: Il disco si intitola emblematicamente "New Dawn" Vedo che nella registrazione c'è Neneh Cherry.., sto cercando dove aquistare il disco presente tuttavi in You Tube. Un filmato divertente con il "nostro" giovane" maresciallo molto scatante... 👍🏻🎷😃 1
campaz Inviato 4 Maggio Inviato 4 Maggio Per la serie non si finisce mai di imparare... ho ascoltato un album, New Ideas, di un jazzista a me (quasi) sconosciuto che si chiamava Don Ellis. Avanguardia che ha fatto un po' la muffa, purtroppo sperimentalismo e passare del tempo troppo spesso non vanno d'accordo fra loro, ma un'intelligenza musicale davvero brillante. Ellis ha studiato etnomusicologia, si è avvicinato alla Third Stream, ha portato avanti esperimenti a dir poco eccentrici che mi hanno ricordato quelli – di molto successivi – messi in pratica da un altro mattacchione, John Zorn. È vero che, col passare del tempo, la sua ricerca ha perso parte della sua carica sovversiva, ma dovesse esserci qualcuno come me (curioso e ignorante in merito) consiglio caldamente un ascolto (e magari un commento, son curioso di sapere cosa ne pensate). 1
damiano Inviato 4 Maggio Inviato 4 Maggio Ornette Coleman - Body Meta - Artists House 1978 Body Meta di Ornette Coleman è una pietra miliare del jazz d'avanguardia (e di confine), un album che sfida ed espande i confini della “Harmolodic Theory” di Coleman già rivoluzionaria di suo. Registrato nel 1976 e pubblicato nel 1978 dalla sua etichetta Artists House, il disco segna il debutto ufficiale di Prime Time, il suo ensemble elettrico jazz-funk che avrebbe definito la sua ultima carriera. In Science Fiction del 1972 si vedono alcune fondamenta che fondevano i concetti Armolodici con una produzione densa, una strumentazione elettrica e un'intensità cruda, quasi ultraterrena. Body Meta si basa su queste fondamenta ma si spinge ancora di più nel territorio del groove, segnando un chiaro allontanamento dalla sperimentazione in studio di Science Fiction verso un suono più immediato e cinetico. Fin dai primi istanti di “Voice Poetry”, è chiaro che Body Meta è diverso da qualsiasi cosa Coleman abbia fatto prima. Sono spariti gli esperimenti acustici e spogli del free jazz degli anni '60; qui abbiamo una sezione ritmica densa e intrecciata con due chitarre elettriche: Bern Nix e Charles Ellerbee, supportate dal basso di Jamaaladeen Tacuma e dalla batteria di Ronald Shannon Jackson. L’armamentario armonico crea un groove pulsante, quasi ipnotico, che sembra contemporaneamente strutturato e caotico, i.e. la firma dell'approccio armonico di Coleman. Brani come “Home Grown” e “Fou Amour” mostrano la capacità della band di tessere intricate trame poliritmiche, consentendo al sax alto di Coleman di librarsi con una libertà espressiva e cruda. Il suo modo di suonare è penetrante e carico di emozioni come sempre, ma ora è giustapposto a uno sfondo elettrico che deve tanto al funk e al rock quanto al jazz. Le influenze di James Brown, Jimi Hendrix e persino di Fela Kuti si avvertono nell'intensità ritmica, ma le composizioni di Coleman mantengono la loro unica imprevedibilità melodica. Sebbene Body Meta sia stato inizialmente trascurato a favore di dischi di jazz-fusion più accessibili dell'epoca, da allora è stato riconosciuto come un ponte cruciale tra il free jazz, il funk e la musica sperimentale della fine del XX secolo. Ha aperto la strada a successivi capolavori di Coleman come Dancing in Your Head e ha consolidato la sua posizione di artista che si spinge sempre oltre i limiti dell'espressione musicale. Se siete amanti del jazz avventuroso e ad alta energia che sfuma i confini di genere, Body Meta è un ascolto essenziale. Non è solo un album, è un manifesto di liberazione ritmica e melodica. Ciao D. 2
campaz Inviato 4 Maggio Inviato 4 Maggio Complice un meteo poco propizio, questa domenica ho sfruttato lo stereo al massimo. Così ho riascoltato un album meraviglioso, perfetto da consigliare all’amico che ti chiede un titolo jazz facile facile ma che non sia poi così famoso da tracimare nel già sentito (insomma, non il solito Kind of Blue…). C’è questo disco a nome Curtis Fuller, BUES-ette, che in realtà è il prodotto di un collettivo che sembra conoscere alla perfezione l’arte del fare buona musica. Hard bop rilassato, un jazz accattivante che si finge modesto, che scivola via con disarmante naturalezza, il tono sempre sobrio e elegante. Nel 1994 la stessa Savoy pubblicherà \textit{Blues-ette Part II}, registrato nel gennaio 1993 con lo stesso quintetto del 1959 – unica eccezione: Ray Drummond al posto di Jimmy Garrison, scomparso nel 1976. 2
analogico_09 Inviato 4 Maggio Autore Inviato 4 Maggio 4 ore fa, damiano ha scritto: Body Meta di Ornette Coleman è una pietra miliare del jazz d'avanguardia (e di confine) Caro Damiano, ciò che nasce saldamente "dentro", non potrà mai essere di "confine" [mi piacerebbe dover leggere questa parola nell'altro topic nato per essere dedicato ai confini del jazz, già di per s' un titolo forzatura, mentre mi pare si sia trasformato in un contenitore delle tuttologie più spatute] semmai , al contrario, una forma di espansione del territorio che ne rafforza la straordinaria identitarietà musicale di genuina natura jazzistica, del jazz che fin dalle prime note di Coleman, fu e restò jazz, musica afroamericana, estica, sociale, culturale, politica, razziale. Le tue interesanti e analisi formali del disco condiviso a mio modesto avviso confermano l'inalienabile appartenenza alla centralità del jazz da cui le stesse deric vano, il quale nel corso degli anni, prima e in concomitanza con l'apporto colemaniano, si "impossessa" di vari corpi formali per esprimere una sostanza contenutistica dell'anima, organica e insopprimibile, altro non sono che le voci sempre vive degli "Holy Ghost" dal quale il jazz discende. 1
analogico_09 Inviato 4 Maggio Autore Inviato 4 Maggio Non fu da meno di Coleman, Albert Ayler ispirato iconosclasta delle forme apprese con la "missione" di liberare le voci ancestrali. Per chi sappia riconoscerle ed ascoltarle. 1
Questo è un messaggio popolare. minollo63 Inviato 6 Luglio Questo è un messaggio popolare. Inviato 6 Luglio Come sempre io mi avvicino con rispetto e un po' di timore reverenziale alla musica jazz. In questo caso è toccato a "Abstraction Is Deliverance", così si intitola il nuovo album e quinto lavoro dell’ormai consolidato James Brandon Lewis Quartet, una delle formazioni più raffinate del jazz contemporaneo, guidata dal noto sassofonista statunitense. Disco bello e originale, che sembra volerci indicare una direzione più lineare e "classica" nel jazz, dopo tanti sconfinamenti di stili e ibridazioni di varia natura. Ciao ☮️ Stefano R. 4
damiano Inviato 7 Luglio Inviato 7 Luglio 19 ore fa, minollo63 ha scritto: Disco bello e originale, che sembra volerci indicare una direzione più lineare e "classica" nel jazz, dopo tanti sconfinamenti di stili e ibridazioni di varia Ne avevo scritto prima del rogo-parte-seconda. A me è sembrato un disco che assomiglia a nulla e quindi, solo per questo notevole. Musica bellissima e ben interpretata da solisti notevoli e tra questi Aruan Ortiz 50-enne cubano che ha studiato molto bene Andrew Hill. Ciao D. 1
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