appecundria Inviato 26 Agosto 2023 Inviato 26 Agosto 2023 La celebre versione di Paolo Caiazzo sulla spedizione dei Mille per aprire un thread sul Risorgimento tra il serio e il faceto. Buona visione. 1
Max440 Inviato 26 Agosto 2023 Inviato 26 Agosto 2023 Ok, non posso allegare il pdf, allora vi sparo una pagina per volta della relazione di cui dicevo nell'altro 3d: buona lettura ! 1 Vale la pena di guardare un poco più a fondo nel rubare come conseguenza dell’incremento del metabolismo dell’ospite indotto artificialmente dal parassita. Si può rilevare la presenza di un verme solitario dalla concomitanza di due sintomi: la fame e la bramosia crescono, mentre il peso e la salute diminuiscono, a causa del parassita nascosto. Si viene spinti a trangugiare più di quanto si ha bisogno, mentre il proprio deficit non viene mai placato. Incidentalmente, questi sintomi sono molto simili a quelli di una condizione esistenziale priva di valori autentici ed imbottita di surrogati fasulli: una condizione che è alquanto probabile si verifichi quando alla soppressione viene consentito di infiltrarsi nella società nel modo che stiamo mappando qui. Ma qui il punto è che in una condizione del genere si è facilmente spinti a rubare nel piatto dei propri vicini… In altre parole, anzi nelle parole di Nuri, le guerre sono verosimilmente e probabilmente il sintomo o l’effetto del parassitismo monetario. Del resto, nei termini sottostanti e persino più basilari del fondamento di quella che viene chiamata “La legge della terza parte”, dietro qualunque conflitto che scoppi o che non si risolva mai fra le due o più parti coinvolte, la vera causa è sempre una terza parte nascosta che lo fomenta attivamente. E già che siamo in argomento guerra, diamo credito a Nuri anche per aver indicato che la manipolazione monetaria è un atto di guerra od alto tradimento. Etichettalo come preferisci, a seconda di come ti va di considerare i manipolatori monetari: o cittadini dello stato il cui denaro essi manipolano, oppure cittadini stranieri rispetto ad esso. Sta a te decidere come ti pare per l’ottima ragione che a loro non importa un fico secco delle nazioni, dei popoli e dei loro simili. Tranne che in termini della loro spremitura, schiacciamento e decesso. Possiamo soffermarci sulle definizioni di guerra, da quella di spodestare il potere nemico a quella della soppressione finale, e vedremo come la manipolazione monetaria rientri in qualsivoglia definizione di guerra. Quanto ai mezzi, scavare la terra sotto i piedi del nemico è una strategia bellica legittima e collaudata, e la manipolazione monetaria è esattamente questo. 2 Ma le guerre a cui siamo interessati ora non sono tanto quelle intraprese furtivamente dai burattinai soppressivi, quanto quelle intraprese rumorosamente dai burattini fonti potenziali di guai. Questo è un buon momento per indicare quanto la cosa sia seria. Magari con un esempio. La versione “disneyana” di tale esempio è stata scritta dai vincitori nei libri di “storia” che dovevamo fare nostri quando eravamo pagine bianche a scuola, nei nostri giorni di gioventù, fiducia ed indottrinamento. I vincitori la canonizzarono sotto il nome di “Risorgimento”, od unificazione italiana. Certo, non sorprende che tale retroterra aumenti da allora in poi la nostra riluttanza umanoide a guardare le cose dall’esterno del recinto; anche perché questo era ciò che in primo luogo i vincitori volevano. Secondo la versione disneyana, l’unificazione italiana fu una benedizione che salvò le popolazioni del mezzogiorno d’Italia dalle loro condizioni di vita miserabili sotto il giogo degli oppressivi tiranni di quelli che nella vulgata odierna verrebbero etichettati come stati canaglia, e le sue icone, Cavour, Mazzini, Garibaldi e così via, furono degli eroi. Secondo le versioni non−così−disneyane che emergono già solo grattando la superficie, le cose erano giusto un tantino diverse. Disponiamo per prima cosa personaggi ed interpreti sulla scacchiera; per maggiore chiarezza raggrupperò sotto ciascun personaggio come etichetta tutti i suoi relativi interpreti: Bankster: il parassita, i burattinai soppressivi alla radice; i manipolatori monetari che controllano la City di Londra, i Rothschild in primis. Londra: il primo organismo ospite, il primo burattino PTS; la Gran Bretagna, ed il suo primo ministro Lord Palmerston. Torino: il secondo organismo ospite, il secondo burattino PTS: il Regno di Sardegna, il suo Re Vittorio Emanuele II di Savoia, il suo presidente del consiglio dei ministri Camillo Benso Conte di Cavour, la Banca Nazionale negli Stati Sardi, poi Banca Nazionale nel Regno d'Italia. 1
Max440 Inviato 26 Agosto 2023 Inviato 26 Agosto 2023 3 Napoli: il primo organismo bersaglio; il Regno delle Due Sicilie, il suo Re Ferdinando II di Borbone, ed il Banco delle Due Sicilie, poi scisso in Banco di Napoli e Banco di Sicilia. Roma, Firenze, Parma e Modena: gli altri organismi bersaglio; Stato Pontificio, Granducato di Toscana, Ducato di Parma e Piacenza, Ducato di Modena e Reggio. Patrioti: i sicari, gli uncini del parassita; Giuseppe Garibaldi, Giuseppe Mazzini, e tutti gli altri; fra i quali Ippolito Nievo, ed un meno famoso Filippo Curletti. Diamo poi un’occhiata a questi pezzi sulla scacchiera prima e dopo la cura. Prima della cura “Risorgimento”: La banca napoletana emetteva soltanto denaro−merce e denaro−ricevuta: monete d’oro, monete d’argento, ricevute di deposito, e niente banconote cartacee. La banca torinese praticava la riserva frazionaria per la sua moneta cartacea sulla base delle sue riserve auree, ed all’unificazione Torino impose quella moneta cartacea come valuta legale per legge perché troppe guerre avevano reso insufficienti quelle riserve auree. La politica economica di Napoli era protezionistica ed autarchica, orientata prima al soddisfacimento della domanda interna, e solo poi all’esportazione unicamente del surplus, e la sua politica estera era scevra da ambizioni espansionistiche. Viene osservato come questo producesse uno sviluppo lento ma sicuro, ed una borghesia dedita all’economia, che crea ricchezza per la comunità, invece che dedita alla finanza, che la ricchezza alla comunità la sottrae. Il “modello economico” di Torino era quello ora a noi così familiare della sovranità monetaria regalata ai bankster – in cambio di chissà cosa – e della conseguente trappola del debito infinito, spoliazione, e stadio di cancrena del parassitismo economico. 4 Le condizioni di vita a Napoli e Roma erano così miserabili che il costo della vita e le tasse erano basse, le finanze pubbliche erano floride, emigrazione e povertà erano virtualmente inesistenti, e le strutture assistenziali, spesso gestite dal clero, garantivano un’assistenza eccellente a paragone di Torino, dove tali strutture vennero abolite, causando così povertà generalizzata ed un ulteriore aggravio del già enorme debito. Un altro indicatore significativo del clima sociale è che, durante un periodo di cinque anni di poco precedente l’unificazione, le condanne a morte eseguite furono zero a Napoli e centotredici a Torino, più quasi diecimila grazie concesse, per reati sia comuni che politici, a Napoli. Debito, appunto. Il debito pubblico di Torino era il più alto fra gli stati preunitari, ed era il triplo di quello di Napoli, a fronte della popolazione di Napoli che era il triplo di quella di Torino. I bankster, non c’è bisogno di dirlo, adoravano Torino ed odiavano tutti gli altri stati preunitari, Napoli, Roma, Firenze, Parma e Modena, ecc., ed intendevano trasfromarli da pericolosi esempi di prosperità al di fuori del loro controllo in bestiame da latte ben allineato nel loro mattatoio. Perciò, i patrioti esercitavano una pressione intellettuale per promuovere i regimi “moderni”, “costituzionali”, “liberali” di Torino ed altri paesi europei sotto il controllo dei bankster in contrapposizione ai regimi “arretrati”, “dispotici”, “illiberali” di Napoli, Roma, Firenze, Parma e Modena, ecc. Perciò, Londra demonizzava Napoli come uno “stato canaglia” con una campagna politica ed a mezzo stampa, e come risultato l’aggettivo “borbonico” divenne l’etichetta spregiativa universalmente accettata sotto la quale qualunque cosa tradizionale viene stigmatizzata come negativa. Ecco un esempio di questo, sotto forma di un caso da manuale di due pesi e due misure: Nel 1848, Napoli intervenne in una rivolta a Messina sostenuta da Londra; non ci furono massacri, e l’esercito borbonico portò i civili al sicuro; sulla stampa il Re divenne un “mostro”. Nel 1849, Torino intervenne in una rivolta a Genova; ci furono cinquecento vittime civili; sulla stampa il Re era ancora un “galantuomo”. 5 Qui è d’obbligo un piccolo intermezzo fra il prima ed il dopo la cura, per porre nella luce esplicita che meritano alcuni dettagli circa il summenzionato personaggio etichettato “patrioti”. La campagna di demonizzazione politica ed a mezzo stampa da sola non era sufficiente per giustificare l’invasione. Senz’altro, attaccare un altro stato sovrano entro il proprio stesso suolo italiano difficilmente lo si sarebbe potuto chiamare in altro modo. Perciò, per superare questo, per quanto scontato ciò sia, l’invasione andava confezionata come una guerra umanitaria di liberazione. E qui sta il motivo per cui, accanto agli iconici Garibaldi e Mazzini, ho scelto di menzionare Ippolito Nievo ed il poco noto Filippo Curletti. Curletti era un agente segreto di Cavour, e quando quest’ultimo per tutta ricompensa lo incarcerò, si vendicò con un libro che possiamo leggere ancora oggi, “La verità sugli uomini e sulle cose del Regno d’Italia”. Ed alquanto scontata è appunto la verità: una guerra sotterranea, combattuta con organizzazioni e propaganda segrete, agenti infiltrati ed operazioni sotto copertura agli ordini di Torino e Cavour, quali il moto “popolare” “spontaneo” di Carabinieri torinesi travestiti da popolani a Firenze, corse a razziare le casse pubbliche, accuse ai governanti attaccati di essersi portati via quello che loro saccheggiavano, fusioni dei metalli preziosi saccheggiati per assicurarsi non potessero venire rintracciati dai loro legittimi proprietari, e così via. Gli atti eroici di Garibaldi non erano differenti, ma al contrario un modello di tali scontate strategie: ricevette in dono dalla corona britannica tre milioni di franchi francesi, e dopo la caduta di Napoli duemila e trecento generali borbonici trovarono una sistemazione equivalente nell’esercito di Torino. Due di loro erano Guglielmo Acton e Ferdinando Lanza; Acton era al comando di una delle navi di guardia alla costa siciliana quando i Garibaldini sbancarono a Marsala, e quelle navi di guardia aspettarono che i Garibaldini fossero sbarcati prima di aprire il fuoco sulle loro navi; Lanza era incaricato della difesa di Palermo quando arrivarono i Garibaldini, e prima tenne i suoi soldati all’interno del Palazzo Reale, e poi consegnò nelle mani di Garibaldi le casse del Regio Banco di Sicilia, ammontanti a circa ottantasei milioni di Euro di oggi, il che incidentalmente fu il primo atto della spoliazione del Sud. Un altro generale, Francesco Landi, a Calatafimi ordinò ai suoi tremila uomini la ritirata senza combattere di fronte a mille uomini male armati. Il tutto mentre i soldati borbonici che rifiutarono di combattere contro i loro compatrioti furono fucilati su esplicito ordine di Cavour, nonostante le leggi sabaude non lo prevedessero.
Max440 Inviato 26 Agosto 2023 Inviato 26 Agosto 2023 6 Un’altra beneficiaria dei fondi britannici fu la Giovine Italia di Mazzini, che li usò per insurrezioni, assassinii politici e massacri, compresi quelli intesi ad incoraggiare, per così dire, gli alleati britannici ad un maggiore supporto sulla “questione italiana”. Nievo, da ultimo, era un garibaldino che affondò con uno dei piroscafi in rotta per la Sicilia nel mar Tirreno, tredici giorni prima della proclamazione del Regno d’Italia; le circostanze dell’affondamento sono sospette: il piroscafo perse contatto con la nave che lo precedeva, ci furono ritardi nei soccorsi, e fu la sola nave diretta in Sicilia nel mar Tirreno ad affondare. Nievo era incaricato dell’amministrazione del corpo di spedizione garibaldino, e per difendersi da accuse di malagestione dovette redigere un resoconto dettagliato delle spese sostenute, un resoconto dal quale sarebbero emersi i contributi ricevuti da Londra e Torino, le tangenti pagate a generali e funzionari borbonici, ed il bottino della spoliazione del Sud; un resoconto che affondò con lui. Quanto al ruolo chiave delle società segrete, basti qui dire che Garibaldi era affiliato alla loggia massonica Asile de la Vertu di Montevideo, nel 1864 divenne Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, e nel 2011 il suo successore in tale carica ha dichiarato che l’unità d’Italia sarebbe stata impossibile senza la Massoneria. La Carboneria magnificata nei nostri libri di scuola, la Massoneria della quale facevano parte la maggior parte di questi patrioti, erano essenzialmente al servizio di qualche Gran Maestro; ed il primo ministro britannico Palmerston era il fondatore dell’Ordine Reale massonico di Sion. E questo è quanto, relativamente ai “patrioti”. Dopo la cura “Risorgimento”: Prima, le cose importanti: il saccheggio. Un dato su tutti: le riserve auree del neonato Regno d’Italia ammontavano a circa 607 milioni di Lire; di questi, 27 provenienti da Torino, 443 da Napoli. 7 Ciò detto sulla loro provenienza, quanto alla loro destinazione, la banca napoletana, il Banco delle Due Sicilie, dopo essere stata rapinata da Garibaldi delle sue riserve auree, venne poi scissa nel Banco di Napoli e nel Banco di Sicilia, e gli venne proibito di ritirare dalla circolazione i ducati d’oro e d’argento che essa stessa aveva emesso – il 65 percento della moneta circolante in Italia. Fu una cordata di banche torinesi a ritirarli: la Banca Nazionale negli Stati Sardi, che divenne Banca Nazionale nel Regno d’Italia, insieme con altre banche torinesi create ad hoc; considerando le circostanze, una cordata bancaria alquanto presumibilmente ben radicata nella City dei Rothschild – pardòn, la City di Londra. Così le riserve auree, sulla cui base potevano venire concessi credito e prestiti, vennero rubate da Torino, il solo stato in Italia al tempo che, vale la pena ripeterlo, attraverso moneta a debito fiat presa a prestito, faceva il gioco dei bankster. I burattinai attraverso i loro burattini, i bankster attraverso i loro complici, avevano ora espanso con successo sino al totale il territorio italiano assogettato al loro controllo ed alla loro trappola del debito infinito. E questo è quanto, riguardo al saccheggio immediato. Al di là del saccheggio immediato, ci fu l’accanimento, ovvero il saccheggio a lungo termine. La rapina dell’oro di Napoli non fu infatti che la parte immediata del saccheggio, e si potrebbe dire che il meglio dovesse ancora venire. L’oro garantiva credito e prestiti? E credito e prestiti furono, senz’altro. Solo che seguirono a ruota: il Robin Hood torinese tolse il sangue e l’ossigeno del credito e dei prestiti al Sud per darlo al Nord. “I napolitani non dovranno essere mai più in grado di intraprendere”, scrisse un certo signor Carlo Bombrini, che era il direttore generale della banca torinese sia quando si chiamava Banca Nazionale negli Stati Sardi, che quando poi si chiamava Banca Nazionale nel Regno d’Italia, come pure il capo della cordata delle banche torinesi. L’esito di quest’intenzione è storia; storia passata tanto quanto storia contemporanea. 8 Dietro l’accanimento, anche il tornaconto personale. Nota come lo sciacallaggio raggiunse persino il livello del grottesco, quando i prodotti del Sud rapinato fornirono le basi per i baroni briganti del Nord per raggiungere nuove altezze monopolistiche nei tornaconti personali. In assenza di credito per il Sud, fu Francesco Cirio, finanziato dal Nord, che costruì la prima industria conserviera sui prodotti del Sud; e questi erano così buoni e di successo che gli consentirono di entrare nel settore delle ferrovie, dapprima per consegnare i suoi prodotti, ma successivamente per conseguire una posizione monopolistica in esso. E questo venne fatto con l’aiuto della cordata delle banche torinesi guidata da Carlo Bombrini. Come ci si potrebbe aspettare, Bombrini era anche amico personale di Cavour, e Cavour aveva interessi economici nel settore dell’agricoltura; un precedente significativo di tali interessi ebbe luogo durante una crisi granaria qualche anno prima dell’unificazione italiana: mentre a Napoli l’“autarchico” Re Ferdinando impediva l’esportazione di grano per assicurare il cibo per tutti i cittadini, a Torino il “liberista” Cavour favoriva apertamente la sua più redditizia – per lui – esportazione. E su questa base si sa che le derrate alimentari da esportare e le ferrovie con cui esportarle vanno di pari passo. Come inciso degno di essere indicato, c’è poi la grana grossa della retorica. Ad esempio, nelle parole scritte nel 1851 dal giovane diplomatico britannico Gladstone al Ministro degli Esteri di Londra, Napoli veniva definita come “la negazione di Dio eretta a sistema di governo”. È interessante notare come la storia – o, piuttosto, la soppressione – si ripeta anche in termini della rozzezza della propaganda: abbiamo sentito capi di stato ai giorni nostri definire qualche altra nazione con termini tanto grezzi quanto “stato canaglia”, e potremmo averlo preso come un insulto alla nostra intelligenza. Se non lo abbiamo fatto, dovremmo. La base di questo genere di insulti è ovviamente la generalizzazione, e più avanti infatti contestualizzeremo esplicitamente la generalizzazione come un indicatore specifico di soppressione. La giustizia consiste anche nel venire messi in grado di confrontarsi sia con l’accusa che con l’accusatore in modo da difendersi in condizioni di parità, e questo presuppone che l’accusa sia specifica e circostanziata. La propaganda nega tutto questo, punto per punto: il controllo dei media è un altoparlante abbastanza potente da ridurre al silenzio il bersaglio, l’accusa è sufficientemente vaga da essere impossibile da confutare, e la sua rozzezza chiude il cerchio facendo appello con successo ai nostri difetti umanoidi per emettere il verdetto di colpevolezza.
Max440 Inviato 26 Agosto 2023 Inviato 26 Agosto 2023 9 Troppo poco, troppo tardi: gli “errata corrige” postumi. Che quella postuma sia un’altra sfaccettatura dei fatti che vale la pena indicare è testimoniato dalle molte cose dette in proposito: “il tempo è galantuomo”, ma “a distanza di secoli la percezione della realtà diventa la realtà stessa e quest’ultima diventa storia”, “la memoria storica è scritta sulla sabbia e lo spirito critico è moda d’altri tempi”, e “la storia è scritta dai vincitori”. Stando così le cose, il tempo e la verità incontrano di certo delle difficoltà, quindi non potremo sottolineare mai abbastanza quanto gli servano il nostro aiuto e la nostra volontà di “guardare, non ascoltare”. I summenzionati termini con cui il diplomatico britannico Gladstone aveva stigmatizzato Napoli si riferivano alle condizioni delle carceri, dove lui sosteneva di avere incontrato dei prigionieri politici, ma queste condizioni vennero smentite dai diplomatici di tutto il mondo, successivamente i prigionieri politici lamentarono la strumentalizzazione, e più tardi ancora alla fine Gladstone stesso ammise di non essere mai stato in una prigione borbonica, e di avere mentito su incarico del primo ministro Palmerston. Il deputato piemontese Pier Carlo Boggio dichiarerà che “Il Piemonte non può permettersi indugi. Perché? Perché è in vista la bancarotta. La pace ora significherebbe per il Piemonte la reazione e la bancarotta.” A sostegno della tesi che il “Risorgimento” fu una guerra di “liberazione” ed “indipendenza”, i nostri libri di scuola non parlano del perché l’Austria potesse sconfiggere l’“Italia” in campo marittimo a dispetto del fatto di non avere sbocchi sul mare? La risposta è: i veneziani combattevano al fianco dell’Austria, non di Torino; ed anche i veneziani erano italiani. Ed il massone Pietro Borrelli scrisse sulla Deutsche Rundschau nell’ottobre 1882, sotto lo pseudonimo di Flaminio: “Non si deve lasciar credere in Europa che l’unità italiana, per realizzarsi, avea bisogno d’una nullità intellettuale come Garibaldi. Gli iniziati sanno che tutta la rivoluzione di Sicilia fu fatta da Cavour, i cui emissari militari, vestiti da merciaiuoli girovaghi, percorrevano l’isola e compravano a prezzo d’oro le persone più influenti”. Ed infatti l’ammiraglio Persano riporterà nei suoi diari: “possiamo ormai far conto sulla maggior parte dell’officialità della marina regia napoletana”. 10 Nelle parole di Jacopo Castellini, “Il regime “costituzionale” che gli intellettuali europei sbandieravano contro Napoli, Roma e Firenze era, quindi, la copertura ideologica di un sistema economico che garantiva a pochi (i proprietari privati degli istituti di emissione monetaria) il potere su molti (il popolo) attraverso il monarca, il governo, il parlamento e il monopolio della violenza legittima di cui questi disponevano (per conto terzi). Per parafrasare Ezra Pound, non si trattava di una guerra tra stato liberale e monarchia assoluta, ma tra monarchie legittime e usurocrazie o daneistocrazie, ossia regimi in cui il potere è esercitato dai prestatori di denaro.” La meta ultima del “Risorgimento” era rapinare prima, ed annettere poi, i territori italiani non ancora sotto il controllo dei bankster attraverso la loro trappola del debito infinito ed i loro complici. E quella meta venne conseguita. Ed il “Risorgimento” non è che un esempio. Abbiamo qui un parassita ed un ospite zombificato: il bankster ed una nazione; il parassita usa la forza dell’ospite zombificato, il suo “monopolio della violenza legittima”, per attaccare altri organismi ed ingrassare a spese di tutti loro. Questa è una cosa diversa dal mero signoraggio internazionale, nel quale una nazione ne costringe un’altra ad accettare il fuori scambio della sua carta senza valore in cambio di prodotti reali sotto minaccia delle armi; e questa cosa diversa potrebbe ben essere alla radice anche del signoraggio internazionale. Questo è particolarmente vero quando vediamo una nazione raggiungere il predominio, vestire i panni del poliziotto internazionale e poi prendersi delle libertà con le altre nazioni, con la propaganda, con “accordi commerciali”, o con le armi. Non c’è bisogno di dire che attaccare i propri cittadini attraverso la tassazione, sia essa esplicita o nascosta (inflazione), è un altro di questi casi, sebbene trattato altrove.
Max440 Inviato 26 Agosto 2023 Inviato 26 Agosto 2023 11 Tali casi non dovrebbero destare alcuno stupore, e per capire cosa stia succedendo, per accertare la presenza di un parassita ed il conseguente stato di zombificazione, basta solo una domanda: In mano a chi si trova la sovranità monetaria della nazione rapinatrice? In quelle dell’ospite o in quelle del parassita? In quelle del governo o in quelle del bankster? La sua sovranità monetaria è controllata da un parassita monetario attraverso una trappola del debito infinito? Questo è il dilemma. Ciò detto, sin qui abbiamo visto come un parassita monetario spinga UN organismo ospite zombificato a rubare dal piatto dei suoi vicini. Ora, come direbbe Joker, “Signori! Allarghiamo le nostre menti!” Un passo oltre questo, la guerra è progettata per far sprofondare nei debiti TUTTE le parti coinvolte. In una trappola del debito infinito. A beneficio della terza parte nascosta che la fomenta: il parassita monetario, i manipolatori monetari. THE END .
Max440 Inviato 26 Agosto 2023 Inviato 26 Agosto 2023 @appecundria Fantastico il monologo di Caiazzo !
appecundria Inviato 26 Agosto 2023 Autore Inviato 26 Agosto 2023 27 minuti fa, Max440 ha scritto: Nel 1849, Torino intervenne in una rivolta a Genova; ci furono cinquecento vittime civili; sulla stampa il Re era ancora un “galantuomo”. Questo sarebbe il Galantuomo: "Mio caro generale, vi ho affidato l'affare di Genova perché siete un coraggioso. Non potevate fare di meglio e meritate ogni genere di complimenti". I bersaglieri sono stati riammessi a Genova soltanto nel 1994, quando il prefetto acconsentì che il comune affiggesse una lapide commemorativa della strage. Tuttora in molti comuni del Sud, i bersaglieri non sono ammessi. 1
appecundria Inviato 26 Agosto 2023 Autore Inviato 26 Agosto 2023 13 minuti fa, Max440 ha scritto: Fantastico il monologo di Caiazzo ! 😀 bruciante il finale
vizegraf Inviato 26 Agosto 2023 Inviato 26 Agosto 2023 @Jack Consolatevi Bersaglieri. Gli Alpini non sono ammessi a Rimini. Ognuno ha i suoi guai. 1
appecundria Inviato 26 Agosto 2023 Autore Inviato 26 Agosto 2023 3 minuti fa, vizegraf ha scritto: Gli Alpini non sono ammessi a Rimini. Stiamo parlando di crimini di guerra, sia pure remoti. Ma va bene, il thread è semi serio e ciascuno ha il suo senso dell'umorismo.
Questo è un messaggio popolare. Panurge Inviato 26 Agosto 2023 Questo è un messaggio popolare. Inviato 26 Agosto 2023 4
Amministratori cactus_atomo Inviato 26 Agosto 2023 Amministratori Inviato 26 Agosto 2023 non giriamo sempre la frittata. garibaldi non ha ricevuto praticamente nulla dopo aver donato il regno delle due sicilie a vittorio emanuele, si è ritirato a caprera per un po. certo molti generali dell'esercito borbonico erano vicini alle idee moderniste e rivoluzionarie ma attenzione quando garibaldi sbarca a marsala i garibaldini avevano le camicie rosse e gli inglesi per evitar che fossero bombardati dalla flotta borbonica fecero andare i loro marinai, sempre in divisa rossa, a passeggiare per il porto di marsala. quanto a mazzini morì in italia sotto falso nome (anche se la polizia sapeva chi era) con sulla testa una condanna a morte che neppure il re di sardegna si sentì di far eseguire vorrei ricordare che già nel 1849 le truppe napoletane arrivare sotto roma per soccorrere il papa e abbattere la repubblica roma furono sbaragliate dai difensori guidati da garibaldi e inseguiti lontano da roma, forse lo avevano troppo sottovalutato sia nel 49 che nel '60 il regno delle due sicilie non era florido, aveva zone depresse (molise, basilicata calabria, aree interne della sicilia). la sua banca centrale magari era ricca ma alla gene di quella ricchezza nulla arrivava. e' vero i birbonici fecero la prima ferrovia italia la napoli portici, ua opera tutto sommato inutile serviva dolo al re per spostarsi in quel di portici le ferrovie ere sono altra cosa 1
Questo è un messaggio popolare. Savgal Inviato 26 Agosto 2023 Questo è un messaggio popolare. Inviato 26 Agosto 2023 E' un dato di fatto che le condizioni del Meridione, dopo l'Unificazione, peggiorarono. Devo riprendere un testo di storia economica in cui si stimava che gran parte del Meridione avesse un reddito pari o superiore al Veneto prima dell'unificazione. Se mi consentite, una sintesi sulla "QUESTIONE MERIDIONALE" Con l’espressione “questione meridionale” si indica tradizionalmente il problema dell’arretratezza socioeconomica del sud dell’Italia rispetto al nord, nel contesto dello stato unitario fondato nel 1861. Prima dell’unificazione, il meridione era organizzato nel regno delle Due Sicilie, sotto la dinastia dei Borbone, caratterizzato dal malgoverno, dall’arretratezza economica e sociale e da un analfabetismo endemico. L’economia, quasi esclusivamente agricola, era fondata sul latifondo cerealicolo-pastorale, in mano a una ristretta fascia sociale di proprietari assenteisti, poco propensi agli investimenti e alla modernizzazione produttiva. I baroni meridionali risiedevano quasi sempre nelle città, lontano dalle proprie terre, che affidavano a grandi affittuari. Le condizioni di vita e di lavoro delle masse contadine erano durissime. Le industrie, protette dalle commesse e dal protezionismo doganale dei governi borbonici, erano poche e tecnicamente arretrate. I commerci, sia interni sia con l’estero, erano scarsi e ostacolati dalla carenza di vie di comunicazione. Di conseguenza, mancava un robusto ceto medio, presupposto per un equilibrato sviluppo sociale ed economico. Quando l’unificazione politica, approvata dall’elettorato meridionale nei plebisciti del 1860, creò il mercato nazionale, la debole industria meridionale fu travolta dalla concorrenza di quella, più moderna, del settentrione, con conseguente aumento del già notevole divario economico tra sud e nord. La vendita delle terre del clero e del demanio, negli anni dei governi della Destra storica (1861-76), non migliorò le condizioni dei contadini poveri, che non erano in grado di comprarle, ma favorì ulteriormente la grande proprietà terriera. Con la privatizzazione delle terre demaniali, anzi, i contadini persero gli ultimi diritti, di origine feudale, di pascolo e di legnatico. Il nuovo stato nazionale rese peggiori le condizioni di vita del sud del paese anche con il sistema fiscale, ben più gravoso di quello borbonico, e con la leva obbligatoria, che sottraeva al lavoro dei campi le braccia migliori. Il malcontento delle popolazioni meridionali, data l’assenza in Italia di un partito capace di esprimere e di organizzare la questione sociale (come avrebbero voluto Giuseppe Ferrari e Carlo Pisacane), si manifestò subito dopo l’unificazione nelle due forme del brigantaggio e delle rivolte contadine. Il primo, scoppiato nel 1861 con la complicità e il sostegno finanziario dei Borbone e del papa (intenzionati a destabilizzare il nuovo stato ritenuto illegittimo), ebbe carattere di massa e coinvolse numerosi strati sociali, dai militari dell’ex regno borbonico ai contadini, ai delinquenti comuni. La sua repressione, terminata solo nel 1865, richiese l’energico intervento di più di 120.000 soldati dell’esercito regio e leggi eccezionali come la legge Pica del 1863, che consegnò i briganti ai tribunali militari e stabilì la fucilazione immediata dei rei colti in flagrante. Le rivolte contadine cercarono vanamente di ottenere quella distribuzione di terre che il popolo del sud si era aspettato fin dalla spedizione dei Mille (1860) di Garibaldi. Queste spie del malessere meridionale furono oggetto di ampia riflessione in alcune inchieste parlamentari e da parte di numerosi intellettuali, che diedero origine al “meridionalismo”. Al di là delle pur rilevanti differenze ideologiche e politiche, tutti i meridionalisti concordarono sulla necessità di affrontare la questione alla radice, risolvendo i problemi di disorganizzazione socioeconomica delle regioni del sud e migliorando le insostenibili condizioni di vita delle masse contadine e popolari. Leopoldo Franchetti (1847-1917) sottolineò come la mafia e il banditismo fossero le conseguenze naturali di un ambiente sociale in cui la forza privata prevaleva sull’autorità pubblica. Pasquale Villari (1826-1917) osservò che, di fronte alle esplosioni di malcontento delle masse meridionali, non era sufficiente la repressione, ma era necessaria un politica di riforme, tali da risolvere i problemi alla radice. Sidney Sonnino (1847-1922) era convinto che la soluzione consistesse nell’incentivare la modernizzazione agricola, adottando il sistema mezzadrile, che stava dando buoni frutti in regioni come la Toscana; ma l’oligarchia latifondista, protetta dai governi, cui essa garantiva il proprio sostegno elettorale, impedì qualsiasi riforma in tal senso. La Sinistra storica, al governo dal 1876, adottò una politica protezionistica, che favorì ulteriormente l’economia industriale del nord e la proprietà assenteista del sud, la cui arretrata produzione, essenzialmente cerealicola, fu messa al riparo dalla concorrenza russa e americana. Furono invece penalizzate le poche colture specializzate (come la viticultura pugliese), che si videro chiudere ogni prospettiva di esportazione dalle ritorsioni straniere, soprattutto francesi. Il generale aumento dei prezzi prodotto dal protezionismo provocò inoltre un ulteriore impoverimento delle masse meridionali. Nel 1892 si sviluppò il movimento dei fasci siciliani, che si opposero al fiscalismo regio e alla tirannia dei latifondisti locali, e che furono duramente repressi dal governo Crispi. Giustino Fortunato (1848-1932) affermò che l’inferiorità economica del meridione trovava le sue ragioni in cause naturali, come la siccità e l’aridità dei terreni, ma anche nella scarsa intraprendenza dei proprietari terrieri, che fondavano la propria ricchezza unicamente sullo sfruttamento rapace dei contadini. Fortunato sperava che lo stato liberale non si limitasse a qualche legge speciale per il sud, ma si prendesse carico della situazione in modo organico, agevolando lo sviluppo economico con un’opportuna politica fiscale e creditizia. Napoleone Colajanni (1847-1921) auspicava che l’industrializzazione, favorita dal protezionismo, coinvolgesse anche il sud, sollevandone le sorti economiche e sociali. Era convinto inoltre che il meridione avesse bisogno di un ampio decentramento di poteri, in una struttura statale di tipo federale. Il liberista Antonio De Viti De Marco (1858-1943) criticò, invece, il protezionismo, responsabile del mancato sviluppo dell’agricoltura da esportazione. Francesco Saverio Nitti (1868-1953) accusò l’iniquo sistema fiscale, il quale drenava risorse dal sud, che in proporzione al proprio reddito pagava più del settentrione, al nord, beneficiario di quasi tutti i finanziamenti statali. Anche le banche trasferivano al nord i risparmi del meridione, lasciando il sud privo di capitali da investimento. Nitti sperava in una futura industrializzazione del sud, da realizzare con una politica di interventi speciali e di sviluppo dei lavori pubblici. Gaetano Salvemini (1873-1957) era convinto che solo l’alleanza tra i contadini meridionali e gli operai settentrionali potesse contrapporsi al blocco di potere costituito dagli industriali e dai latifondisti e criticava, perciò, la politica del Partito socialista, chiuso in una corporativa difesa degli interessi del proletariato settentrionale. Salvemini riteneva che il suffragio universale avrebbe dato un nuovo peso alle masse nella politica nazionale ed era favorevole a un decentramento di tipo federale. Proponeva inoltre una riforma agraria fondata sulla spartizione del latifondo e sulla diffusione della piccola proprietà contadina. Non mancò chi, come A. Niceforo, lesse la questione meridionale in termini razzistici, attribuendo alla pigrizia e all’inferiorità dei popoli del sud la causa della loro arretratezza. L’età giolittiana non portò grandi cambiamenti nelle condizioni del meridione: pochissime aree, per lo più concentrate in Campania, arteciparono parzialmente al decollo industriale, grazie alla politica di interventi speciali per il Mezzogiorno, mentre l’agricoltura continuò a essere fondata sul latifondismo. Lo stesso Giolitti peraltro – il “ministro della malavita”, come lo definì Salvemini – sfruttò sistematicamente gli equilibri sociali del meridione e il predominio della grande proprietà assenteista per ricavarne vantaggi in termini politici, elettorali e parlamentari. Il governo del meridionalista Sidney Sonnino (1906), che proponeva lo sgravio fiscale per i contadini e la loro agevolazione nei patti agrari con i proprietari, ebbe breve durata. La manodopera eccedente trovò in questo periodo una valvola di sfogo nell’emigrazione di massa, che nel nuovo secolo raggiunse proporzioni enormi: oltre quattro milioni di meridionali lasciarono la propria terra nel primo quindicennio. Regioni arretrate come la Basilicata si avviarono verso un vero e proprio spopolamento. A emigrare erano le forze sociali più produttive, cioè le persone di sesso maschile e in età da lavoro. Gli unici risvolti positivi del fenomeno furono il lieve miglioramento dei contratti agricoli, prodotto dal calo della domanda di lavoro, e l’arrivo delle rimesse degli emigrati, che consentirono ad alcuni contadini di comprarsi la terra. La prima guerra mondiale fu pagata a caro prezzo dal sud, i cui giovani vennero mandati in massa a farsi decimare nelle trincee. Al danno della guerra si aggiunse quello del mancato mantenimento della promessa (fatta nel 1917 dopo la disfatta di Caporetto) di distribuire le terre ai contadini alla fine del conflitto, come premio per il sacrificio e lo sforzo sostenuti. Nel dopoguerra, prima dell’avvento del fascismo, il dibattito sulla questione meridionale riprese e si intensificò. Luigi Sturzo (1871-1959), fondatore del Partito popolare, intendeva lottare contro il latifondismo, a favore della diffusione della piccola proprietà contadina, che avrebbe creato nel meridione un ceto medio. Sostenne inoltre il sistema elettorale proporzionale e il decentramento regionale, per stroncare il predominio dei notabili. Guido Dorso (1892-1947) sperava in una gobettiana “rivoluzione liberale”, che sostituisse l’immobilistico blocco di potere con l’alleanza, al sud, di contadini, piccoli proprietari e intellettuali. Uno dei fondatori del Partito comunista, Antonio Gramsci (1891-1937), che vedeva nella questione meridionale il problema centrale dello stato nazionale, riteneva che al blocco di potere agrario-industriale dovesse opporsi l’alleanza di operai e contadini. Gli intellettuali meridionali, liberandosi della vecchia subalternità ai latifondisti, avrebbero dovuto dare il proprio indispensabile contributo alla nascita di una nuova cultura, organica al progetto di rinnovamento della società. Durante il fascismo la situazione del Mezzogiorno si aggravò, sia per le leggi statunitensi restrittive dell’immigrazione, che tolsero ai disoccupati meridionali uno sbocco tradizionale, sia per l’ulteriore aumento della subordinazione dell’agricoltura agli interessi del capitalismo settentrionale. I centri tradizionali di potere garantirono il proprio sostegno al regime, in cambio di favori, concessioni di qualche opera pubblica e di licenze edilizie che consentirono l’inizio di una speculazione selvaggia. La politica del fascismo per il meridione, basata sulla battaglia del grano e sulla bonifica integrale, si rivelò sostanzialmente un fallimento. Le condizioni di vita delle masse rurali peggiorarono, mentre la battaglia del grano consolidò ancora una volta l’arretrata produzione cerealicola a scapito delle colture più moderne. Negli anni Trenta il fascismo abbandonò il progetto di bonifica integrale, per destinare maggiori risorse alla politica di riarmo e all’espansionismo imperialistico. L’arruolamento nell’esercito e la partecipazione alle imprese coloniali diventarono per il sud una valvola di sfogo sostitutiva dell’emigrazione. Durante la seconda guerra mondiale, parte della popolazione del sud si illuse che la caduta dal fascismo e la liberazione avrebbero portato a una rinascita sociale ed economica delle proprie regioni. Le intelligenze più acute, come Guido Dorso, percepirono il pericolo che sotto le nuove istituzioni potesse ricostituirsi il tradizionale blocco di potere, refrattario a qualsiasi politica autenticamente riformatrice. Dorso pensava che per risolvere la questione meridionale ci fosse bisogno di una nuova élite dirigente, di “cento uomini d’acciaio” fermamente determinati ad affrontare radicalmente i problemi. Anche nel nuovo stato repubblicano e democratico, quindi, la questione meridionale fu al centro di un acceso dibattito. Manlio Rossi Doria sostenne un’ipotesi di riforma agraria, che sviluppasse le cooperative e gli enti regionali, promuovesse la piccola proprietà e favorisse l’evoluzione tecnica. Il Partito comunista propose per il meridione un progetto di riforma agraria di stampo democratico-borghese, che non si spingeva oltre lo smantellamento degli ultimi residui feudali e la diffusione della piccola proprietà. Profondamente pessimista era Salvemini, convinto che il riscatto dei contadini meridionali avesse bisogno dell’apporto degli intellettuali, i quali erano invece moralmente inetti e incapaci di assolvere il proprio compito storico. Lo storico gramsciano Emilio Sereni attribuì al capitalismo del nord la responsabilità del mancato sviluppo industriale del sud, relegato al ruolo di sbocco di mercato per i prodotti settentrionali. La delusione dei contadini, per la mancata riforma agraria alla caduta del fascismo, si manifestò in una serie di occupazioni di terre nei primi anni del dopoguerra. Esse furono duramente represse dalle forze dello stato (stragi di Melissa, Montescaglioso, Torremaggiore) e dai banditi al soldo dei latifondisti (come la strage di Portella della Ginestra il 1° maggio 1947, a opera del bandito Salvatore Giuliano), ma ebbero l’effetto di convincere i governi centristi di Alcide De Gasperi ad avviare una politica di cauto “riformismo dall’alto” nel meridione. Nel 1950 furono distribuite ai contadini porzioni di latifondo (in genere le terre meno fertili) confiscate con indennizzo ai proprietari e fu istituita la Cassa per il Mezzogiorno, per agevolare l’industrializzazione del sud con una politica creditizia e mediante la creazione di infrastrutture funzionali allo sviluppo. Si ebbe un parziale processo di modernizzazione, insufficiente però a riequilibrare il divario tra le diverse aree del paese. Il reddito medio continuò a essere molto più basso che nelle regioni centro-settentrionali. La piccola proprietà terriera, creata dalla riforma agraria, si rivelò troppo frantumata per consentire una reale modernizzazione e i contadini spesso non erano neanche in grado di mantenere solo con essa la propria famiglia. Molti furono costretti a cercare secondi lavori o a rivolgersi alla classe politica locale per ottenere favori assistenziali in cambio del proprio sostegno elettorale. Gran parte della classe politica, infatti, cercava più di consolidare il proprio potere mediante la tecnica del clientelismo, che di realizzare il necessario rinnovamento socioeconomico del territorio. Parallelamente (e conseguentemente), nella società si sviluppava la tendenza al parassitismo e alla ricerca dell’impiego pubblico, invece di una sana mentalità produttiva. Negli anni Cinquanta riprese in modo massiccio il fenomeno migratorio, indirizzato verso il nord che viveva la stagione del proprio “miracolo economico”. Tra il 1950 e il 1970 il 25% della popolazione meridionale lasciò la propria terra. Nonostante le risorse investite dallo stato, spesso sprecate o usate in modo distorto e clientelare, il divario tra sud e nord è aumentato nel corso del dopoguerra. Il dibattito meridionalista è continuato, articolandosi soprattutto nelle tre diverse posizioni dei conservatori, dei marxisti e dei “terzaforzisti” (tra i quali lo storico Rosario Romeo), sostenitori questi ultimi di una linea liberale intermedia tra le prime due. La questione meridionale oggi non comprende solo il problema della riforma agraria, ma anche quelli dello sviluppo caotico di megalopoli come Napoli e Palermo, dell’insufficiente e disordinato sviluppo industriale (le cosiddette “cattedrali nel deserto”), della speculazione edilizia selvaggia (le “mani sulla città”), della disoccupazione crescente, del clientelismo. Perfino conquiste positive come la scolarizzazione di massa, nel quadro complessivamente negativo della situazione del Mezzogiorno si sono spesso tradotte in nuovi problemi, come la disoccupazione intellettuale. Il problema più grave di questi ultimi anni è il crescente controllo mafioso e criminale sull’economia e sulla vita sociale e politica locali. Lo stato, dopo anni di inerzia o di eroico sacrificio di pochi e isolati suoi rappresentanti, ha ultimamente intensificato la lotta contro la criminalità organizzata, senza riuscire però a incidere profondamente sulle radici sociali più profonde della questione meridionale. 1 3
Guru Inviato 26 Agosto 2023 Inviato 26 Agosto 2023 20 minuti fa, cactus_atomo ha scritto: i birbonici Con quel nome figuriamoci se c'era da fidarsi. 2
Questo è un messaggio popolare. Savgal Inviato 26 Agosto 2023 Questo è un messaggio popolare. Inviato 26 Agosto 2023 @cactus_atomo Come hai giustamente ricordato in altro thread, i Borboni nel 1799 invece di graziare coloro che avevano preso parte alla Repubblica partenopea li mise sul patibolo. Un osservatore straniero dell'epoca scrisse che il re aveva messo al patibolo l'Accadermia del proprio paese.. Vi è poi la responsabilità della classe dirigente meridionale, in particolare i latifondisti, che si vendettero ai piemontesi in cambio della garanzia del mantenimento dei loro interessi, anche quando contrastavano con la legge. Qundo scoppiò la rivolta definita "brigantaggio", la classe politica piemontese identificò la difesa dell’unità nazionale con la tutela dei grandi proprietari terrieri e trattò il brigantaggio esclusivamente come problema di ordine pubblico, nonostante un’inchiesta parlamentare condotta da Massari (1862-63) ne avesse evidenziato le ragioni sociali. La classe dirigente merdionale (i "galantuomini") si asservirono agli interessi del resto d'Italia. Le leggi sulle tariffe doganali (1883 e 1887), volute anche da un siciliano quale era Crispi, favorì gli interessi degli industriali legati agli investimenti pubblici e alla produzione bellica, nonché la produzione cerealicola, mentre colpì mortalmente colpire le produzioni agricole meridionali più pregiate destinate all’esportazione. In Puglia le aziende agricole imprenditoriali fallirono, mentre il latifondo fu protetto dalle produzioni cerealicole straniere. Le leggi sulle tariffe doganali sono esemplari dell'asservimento del Meridione agli interessi del Settentrione e di come i latifondisti meridionali abbiano rnunciato agli interessi del Meridione in cambio della protezione alla loro arretratezza imprenditoriale. Se a Nord il protezionismo favorì una prima industrializzazione, il protezionismo non apportò alcun vantaggio al Meridione. Le tariffe doganali erano state chieste dai latifondisti del Sud che, in ragione della loro inefficienza, dovevano subire la concorrenza del grano russo e americano che poteva ora essere trasportato rapidamente dalla nuove navi a vapore. I piccoli e medi produttori agricoli meridionali, specializzati in produzione qualificate, come vino e olio, furono ignorati. L’introduzione delle tariffe doganali fu un disastro per questi operatori. Gli interessi del Meridione tutelati dalle scelte poltiche divennero quelli della inefficiente agricoltura latifondista, incapace di competere economicamente e di proporre un modello di sviluppo, ma protetta dal potere politico. I piccoli e medi produttori agricoli meridionali, specializzati in produzione qualificate, come vino e olio, furono ignorati. L’introduzione delle tariffe doganali fu un disastro per questi operatori. Le tariffe doganali saldarono ulteriormente il “blocco storico” costituito dagli interessi protetti di industriali legati alle forniture dello Stato e latifondisti, poco efficiente dal punto di vista economico, ma in grado di manovrare il potere politico. 3
Gaetanoalberto Inviato 26 Agosto 2023 Inviato 26 Agosto 2023 Fare meglio di @Savgal è impossibile, e non ci provo neppure. Sottolineo solo la qualità dei suoi post, che non hanno nulla di complottista. La condivisione della memoria storica sarebbe molto importante, quantomeno riconoscendo gli aspetti controversi. D'altra parte sono informazioni che possono servire "contro" qualcuno o qualcosa, oppure "a favore" di una visone politica più equilibrata. Io preferisco la seconda. Lo stesso vale per le riflessioni sulla politica internazionale. Non mi pare che, né a livello nazionale, né internazionale, si vada in questa direzione. Edit: però la consueta conclusione dei vincitori sui demeriti degli sconfitti, che giustificherebbero le ingiustizie praticate dal vincitore, non mi convince. 1
Velvet Inviato 26 Agosto 2023 Inviato 26 Agosto 2023 Si vabbè ma mi sembrate i Serbi che dopo 500 anni ancora stanno a rivangare e coltivare ennemila torti e battaglie. E guardate innanzi, su. 2 1 1
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