analogico_09 Inviato 2 Giugno 2024 Autore Inviato 2 Giugno 2024 Il 31/5/2024 at 23:49, damiano ha scritto: Confermo quanto scritto da Peppe; andare ai concerti è fondamentale. I dischi in studio, a volte, sono mediati da esigenze che live sono meno pressanti e sono, come dire, formativi. Ciao Mi tornano in mente e un po' in pancia quelle sensazioni che provavo ascoltando in concerto il musicista che conoscevo attraverso i dischi. Durante il live succedevano cose impreviste ad ogni istante, liberi i "celebranti" di non doversi preoccupare di quello che sarebbe potuto entrare o meno in un disco e di seguire la propria ispirazione, il proprio feeling senza compromessi. La musica libera di dirigersi verso ogni direzione dilatando gli spazi sancendo la sconfitta della tirannia del tempo. L'ascoltatore sulle prime veniva un po' disorientato, preso da un vortice improvvisativo del quale non se ne potevano prevedere sviluppi ed esiti, fin dove avrebbero potuto condurlo, a differenza degli ascolti discografici immutabili e più "rassicuranti" sotto il profilo del coinvogimento emotivo e psicologico. Saltava ogni fissa "definizione" appresa sul musicista e sulla sua musica, l'ascoltatore a sua volta era impegnato ad attraversare nuovi territori musicali nei quali perdersi o ritrovarsi attraverso l'ascolto attivo della musica suonata dal vivo anzichè dal disco conosciuto anche quando si fosse al primo ascolto... Questo a mio avviso resta un percorso ascoltatoriale obbligatorio, affiancando anche il disco, per tutti quelli che si considerano appassionati dell'arte dei suoni. Ricordo in modo particolare - perchè la sensazione di "straniamento" da me vissuta fu particolarmente intensa ed infine oltremodo esaltante - il quartetto di "Charles Tolliver" dal vivo al Music Inn, Novembre 1974 C. Tolliver, tromba; John Hicks, piano; Clint Huston, basso; Clifford Barbaro, batteria). Rispetto a come conoscevo questo gran trombettista molto "funky" avendo come riferimento alcuni dischi, mi ritrovai immerso in una musica inaudita suonata con un senso "mantrico" del tempo e dell'espressione: brani interminabili, circolari, spazi solistici che si alternavano senza soluzione di continuità, senza "fretta" senza dover provare la sensazione del "tra un attimo dovrà finire perchè il disco finisce...". Era così bello ed "estenuante".., reiterato... la notte avanzava e con essa le eccitazioni, il susseguirsi di "immagini" evocate dai suoni musicali. Il quatetto suonò generosamente per oltre 90 minuti (registrai la serata, ho modo di verificare l'esatto minutaggio), una durata insolita rispetto alla media dei tanti concerti cui ho assistito nello stesso jazzclub. Ne uscii come se avessi compiuto un'esprerienza metamusicale dentro e fuori (di) me stesso quale iniziatico guidato da siffatti Maestri. Tutto quanto detto facendo tuttavia salvo il prezioso e irrinunciabile strumento complementare rappresentato dal disco. Ma innanzi tutto il concerto. Quando riascolto la registrazione, molto buona, come ora, mi sembra di tornare nella antica "caverna" sprofondata nelle viscere di Roma nella quale si concretizza la chimica tra '"l'urgenza del reale e la metafisica del sogno" 1
Questo è un messaggio popolare. analogico_09 Inviato 3 Giugno 2024 Autore Questo è un messaggio popolare. Inviato 3 Giugno 2024 DON CHERRY Blue Lake Live a Parigi 22 Aprile 1971 Rilasciato dalla Big Records Japan nel 1974 Solo due copie in Discogs 350 euretti. All'epoca in Italia era di rara e cara importazione e lo mancai: mi ero già svenato con l'altro strepitoso doppio LP import "Don Cherry - Organic Music Society". A saperlo che avrebbe raggiunto certe quitazioni non lo avrei comunque preso, non per queste faccende di vile denaro, o di feticismo discolgrafico, non traffico in dischi, mai venderei un solo MIO disco neppure uno di quelli che apprezzo di meno o poco e sono pochi perchè i miei acquisti discografici sono sempre stati molto oculati e selettivi. Chiusa parente prosaica.., finalmente nel 2002 mi imbattei in una splendida rispampa della Get Back italiana in vinile, cover identica alla prima giapponese, ottima registrazione, l'unica che si conosca fino ad oggi, a parte una release unofficial ristampata in Russia nel 2017 probabilmente ricavata da digitale, e 3 edizioni in CD. Finalmente dico perchè non smettevo di provare rimorsi per non aver acquistato la prima stampa di cui se ne dicevano meraviglie, avendo nel frattempo perso la speranza di poterlo intercettare... E incece mai dire mai. Il disco è una meraviglia, il live condotto da una insolita ma solida, straordinaria formazione in trio: Don Cherry, pocket trumpet, piano, flauto, voice, voce; Johnny Dyani, ottimo basso afroamericano; Okay Temiz, straordinario batterista/percussionista turco presente in altri dischi di Don Cherry. Tre soli brani divisi in parti. A1Blue Lake Written-By – Don Cherry 4:55 A2Dollar And Okay's Tunes (Part 1) Written-By – Dollar Brand, Okay Temiz 17:05 BDollar And Okay's Tunes (Part 2) Written-By – Dollar Brand, Okay Temiz 15:14 CEast (Part 1) Written-By – Don Cherry 13:10 DEast (Part 2) Written-By – Don Cherry 13:42 Livelli di nobile musicalità negli incessanti flussi improvvisativi che si rinnovano senza soluzione di continuità: la magia di Cherry con sua "piccola" tromba, col flauto, al piano; solide e vigorose le corde del basso in "accordo" con l'ipnotico e instancabile sostegno ritmico di Tamiz che cerca di cacciare fuori dalla pelli dei tamburi sonorità "armoniche" come se fossero dei timpani. Una preziosa, magica tavolozza di suomni e colori organici, naturali, un approccio alla musica "multikulti" di cui Cherry fu poetico precussore, ispirato cantore nei tempi in cui tale "concept" musicale si confessava unico, personale, ancora ben lontano dai manierismi d'accatto fatto di esoticismi turistici che in seguito, purtroppo, verranno sotto forma di "new age" per le meditazioni dopolavoristiche... Un assaggio con il brano di apertura che da' il titolo all'album (mi piacerebbe condividere anche l'altro abum di Don Cherry intitolato Orient sempre un live che raccoglie brani live stesso concerto ed altro : Paris: April 22 and August 11 1971. alla prossima magari) 1 2
analogico_09 Inviato 4 Giugno 2024 Autore Inviato 4 Giugno 2024 Sto vivendo un momento Cherriano... DON CHERRY Hear & Now Un nutritissimo organico in uno dei dischi più "fusion_funky, etnico_wha-wha" , forse l'unico, capitanato da Don Cherry nel '76, uscito nel '77 da Atlantic. da me acquistato in ottima prima ristampa italiana nel '77 ancora in condizioni NM. Ho come l'impressione che sia anche il disco per pagare il "conto del sarto" di Donald (niente di grave, lo si dice anche di alcune bellissime musiche musiche di Schubert..., alcuni Impromptu se non ricordo male) benchè la sua vena poetica non scada mai nel banale, mai priva di schietta ispirazione, sempre in continuità con la sua filosofia e "stile" musicale. In questo disco Cherry da molto spazio ai suoi comprimari e accompagnatori: Michael Brecker, Lenny White, Marcss Miller (che qualche "guaio" lo combina pure qui con la sua solita invadenza... ) Steve Giordan, Tony Williams, Sam Samole e altri esponenti ambivalernti jazz/rock : qui la lista (https://www.discogs.com/it/release/6302545-Don-Cherry-Hear-Now). Impiegate trombe, sax, chitarre, sitar, tamboura, percussioni, timpani, arpa, vocal, cricket, bass, keyboard, drums, congas, flute, piano elettrico e acustico.... Musicisti e strumenti diversamente distribuiti nei vari brani dove, pur con tanta carne a cuocere, nella luninosa, coloratissima caledoscopia srtrumentale capace di evocare le più diverse sonorità, di fumo non se ne vede. Cherry, benchè accerchiato da tante personalità diverse tra di loro, non sempre situato nell'esatto centro in alcuni brani, rinunciando a quei suoi più estesi , memorabili assolo di trumpet che lacerano lo spirito, controlla bene l'insieme e ne viene così fuori un disco interessante, suggestivo e godibile. Fatta la tara a quel poco di felice la-la-la un poco ingenuo che si ascolta bel brano "Surrender Rose". Il brano migliore, il più ispirato è l'ultimo "medley" diviso in "tre momenti" religiosi: "Journey of Milarepa", "Shanti", "The ending movement-liberation (from welkin of infinity)", con organico più ridotto: tromba (suonata con maggior feeling e più a lungo), flauto, chitarra, keyboards, basso, batteria, congas, percussioni (senza l'"assorbente" presenza di Marcus MIller). 1
analogico_09 Inviato 12 Giugno 2024 Autore Inviato 12 Giugno 2024 Let My Children Hear Music 1972 - Ascolto uno dei dischi più sontuosi e complessi di Charles Mingus, bellissimo, abbagliante! Fortemente in blues, intriso di toni imprespressionistici "classici", modal_ispanici, "messicani", afrosudamericani. Quantità di cose in stato di sorprendente, organica compatibilità tra di loro e con lo spirto della tradizione big-bandistica del jazz, con la ellingtoniana, nella fattispecie, quasi sempre ricorrente nella invenzione del grande compositore - tra i più grandi del '900, tra tutti i "generi": contrabbassista, compositore, polistrumentista, band-leader di gran fiuto, tra gli anticipatori di punta del "modale", della "new-thing", del "free" ed altri elementi della "modernità" in felice convivenza nella musica di Mingus. Il quale aveva il "Duca" come "nume tutelare" della creatività, privilegiata fonte di ispirazione e di azione musicale del passato, presente e futuro, forma una e trina dell'inscindibile unità meta-temporale mingusiana. Organici da big band, combinazioni strumentali sbalorditive per varierà di suoni, timbri e colori, di espressioni musicali telluriche, ora tese, laviche, ora serene, liriche, a tratti dolenti, pronte a trasformarsi in "orgy in free". Tutto questo in solo disco contenete sei brani miliari partoriti dalla mente di un solo uomo a misura della personalità trina ed inscindibile dell'uomo privato, dell'artista e del "paziente" Mingus (self portrait in three colors) La mia copia "Analogue" Pure Plasur molto ben suonante. Il brano più bello.., o forse il mio brano del "cuore"... Adagio Ma Non Troppo 2
gusgoose Inviato 20 Giugno 2024 Inviato 20 Giugno 2024 molto interessante l'aspetto "psiche" di Mingus, quando suonò ad UJ aveva appena terminato un soggiorno nel reparto di psichiatria, l'avevano rimesso in buona forma, a Todi nel 1974 era sorridente e sereno e dispensava a tutti commenti e saluti. Mi fece un autografo che ho conservato così gelosamente che non lo ritrovo...
analogico_09 Inviato 22 Giugno 2024 Autore Inviato 22 Giugno 2024 Il 20/6/2024 at 11:14, gusgoose ha scritto: molto interessante l'aspetto "psiche" di Mingus Todi nel 1974 C'ero anchio a Todi. Non ricordo se fu nello stesso anno se prima o dopo, lo ascoltai anche a Perugia. Sempre trascinante, un jazz fisico e "accorato". Il concerto e altre interessantissime risprese "private" del grande musicista. Lo ascoltai in seguito ai Bologna e Pescara Jazz. A Roma nell'"intimità" del Music Inn. Ero seduto a due metri dalla piattaforma sulla quale suonavano.., non pensai di chiedergli una autografo ma alla fine del set mentre si ritiravano verso il bar gli toccai il basso e "nascostamente" la pancia... Le tre anime di Mingus Mlto suggestivo questo fotogramma del filmato che riprende Mingus mentre si allontana... 1
Questo è un messaggio popolare. gusgoose Inviato 23 Giugno 2024 Questo è un messaggio popolare. Inviato 23 Giugno 2024 eccolo qui il nostro, suonare beato sulla piazza di todi, in altro a sinistra, piacevolmente barbuto, io lo ritraggo 3 2
analogico_09 Inviato 23 Giugno 2024 Autore Inviato 23 Giugno 2024 6 ore fa, gusgoose ha scritto: eccolo qui il nostro, suonare beato sulla piazza di todi, in altro a sinistra, piacevolmente barbuto, io lo ritraggo Grande!! Io non avevo in quei giorni di UJ 1974 la machinetta.. come la chiamavamo prima... però mi vedo per un attimo mentre attraverso il palco da dove scattavo delle foto nel fimato del concerto di Freddie Hubbard ad Orvieto 1978 Poi trovo il video YouTube e lo condivido...
analogico_09 Inviato 23 Giugno 2024 Autore Inviato 23 Giugno 2024 Sto, stavo riascoltando uno dei tre dischi registrati da Don Cherry per Blue Note con formazioni diverse (citerò solo i diretti comprimari, straordinarie anche le sezioni "ritmiche", ovviamente): Complete Communion (1966) con Gato Barbieri; Symphony For Improvisers (1967) con Gato Barbieri , Pharaoh Sander, Karl Berger vibrafono e piano; "Where Is Brooklyn?" con Pharaoh Sander. Mentre ascoltavo quest'ultimo per curiosità sono andato a leggere in "Blue Note Records . La Biografia" - che condivisi per primo nel forum anni fa - cosa ne pensasse Richard Cook, autore del testo, di questi per me straordinari progetti di jazz moderno/avanzato, quasi free per nulla "criptico", e devo dire che non mi ha convinto l'approccio critico troppo veloce con il quale "liquida" i tre album con un tono di malcelata sufficienza e qualche toccata di "rimprovereo" quasi paternale nei confronti di Don Cherry trattato come se fosse un buon figliolo però capriccioso o impertinente.., mancando su quella che è invece l'autentica, altissima qualità musicale e "caratteriale" da globetrotter di Don Cherry. Il quale, pur non essendo IL virtuoso assoluto della storia della tromba jazz, ha sempre espresso in tutti gli ambiti musicali nei quali ha lasciato il segno indelebile, moltissimi, quale leader o comprimario, la sua personalissima, irripetibile, irresistibile vena creativistica innovativa e pulsante, il profondo lirismo, le folate di note penetranti e liquide della sua "pocket trumpet" a volte "astratto", o "surreale", da "marcetta" con ritmi da "Histoire du soldat" di Strawinsky" (il quale assimilò molto il jazz che si riflette anche nalle citata opera) ma sempre di cristallina e fresca ispirazione, tutte cose alla quale secondo me Cook non rende giustizia, che tralascia o fraintende. Con tutto il rispetto per Cook e per gli altri critici più o meno celebrati, resto tuttavia dell'umilissimo avviso che - non essendo costorio il "vangelo", nonostante la indiscussa fama - ogni tanto in più occasioni vi siano motivi di fare la "tara" o di aggiungere opportunamente qualche altra considerazione allo stringato commento o giudizio critico che si possa ritenere un poco avaro o forviante. Mi piacerebbe argomentare più approfonditamente la mia opinione, riassumere quando scrive Cook, ma oggi è domenica quindi riposo.., lunedì, martedì. mercoledì sono giorni dedicati a recuparare le energie spese per l' ozio.., alla prima occasione cercherò di tornarci su. Nel frattempo chi vorrà anticipare qualcosa sarà il benvenuto. Ciò che scrivo sopra della musica di Cherry, vale anche per i dischi Blue Note di Cherry quindi per questo splendido "Where is Brooklin?" con la partecipazione di un Pharaoh Sander "incendiario" che attizza il lirismo più "trasognato" di Cherry il quale a sua volta prova a fare da estintore con il grande comprimario. In definitiva sono tre dischi tutti elettivamente Complete Communion... Bass – Henry Grimes Cornet – Don Cherry Drums – Edward Blackwell Tenor Saxophone, Piccolo Flute – Pharoah Sanders Recorded on November 11, 1966 1
analogico_09 Inviato 23 Giugno 2024 Autore Inviato 23 Giugno 2024 30 minuti fa, analogico_09 ha scritto: mi vedo per un attimo mentre attraverso il palco da dove scattavo delle foto nel fimato del concerto di Freddie Hubbard ad Orvieto 1978 Vabbè.., piccola paura del come eravamo... Ho segnato il punto, qualche attimo prima.. sono quello coi baffi che passa defilatamente con macchina fotografica appesa al collo ... 1 1
analogico_09 Inviato 23 Giugno 2024 Autore Inviato 23 Giugno 2024 Ciondivido qualche scatto di quella magica notte musicale. 2
campaz Inviato 23 Giugno 2024 Inviato 23 Giugno 2024 @analogico_09 mamma mia come eri anni settanta negli anni settanta!!! 2
analogico_09 Inviato 23 Giugno 2024 Autore Inviato 23 Giugno 2024 5 minuti fa, campaz ha scritto: @analogico_09 mamma mia come eri anni settanta negli anni settanta!!! fin lì tutto bene.., in seguito ho cominciato a prendere le sembianze da marziano da 2001 scarrozzata nello spazio...
campaz Inviato 30 Giugno 2024 Inviato 30 Giugno 2024 Grazie alla comodità (e all’economicità) dello streaming sto affrontando l’ascolto di tutti i dischi incisi da Coltrane nel 1965 (se ho contato bene dovrebbero essere diciotto, live e pubblicazioni postume compresi). Un momento di cesura assoluta, la fine del quartetto storico e lo sfondamento della tonalità, per un jazz potentissimo e soprattutto affascinante. Dopo la spiritualità, forse un po’ piaciona di A Love Supreme (ho almeno un parente che mi potrebbe togliere il saluto a seguito di questo giudizio semplificativo), il grido, l’angoscia di chi sta ricercando il proprio equilibrio ma riesce solo a intravedere la soluzione ai propri dilemmi. A fare paragoni bislacchi oserei affermare che il Coltrane del ‘65 sta alla musica come la Guernica di Picasso sta alle arti figurative. Post comunque assolutamente inutile e privo di qualsiasi valore aggiunto, volevo solo farvi partecipi che sono arrivato più o meno a metà degli ascolti e sto godendo come un riccio. 2
analogico_09 Inviato 4 Luglio 2024 Autore Inviato 4 Luglio 2024 Il 30/6/2024 at 16:03, campaz ha scritto: Post comunque assolutamente inutile e privo di qualsiasi valore aggiunto, volevo solo farvi partecipi che sono arrivato più o meno a metà degli ascolti e sto godendo come un riccio. Ottimo invece, concordo nella sostanza sulle cose che scrivi su Coltrane e su "quel" jazz "guernichiano"... Magari ci torno su con qualche battuta meno stiracchiata ...
analogico_09 Inviato 4 Luglio 2024 Autore Inviato 4 Luglio 2024 Prendendo spunto da un intervento postato nel topic degli ascolti vinilici https://melius.club/topic/484-il-disco-in-vinile-che-state-ascoltando-ora/?do=findComment&comment=1238467, mi piacerebbe condividere qualche impressione su un disco che amo particolarmente. Iniziai ad ascoltare EXPECTATIONS (CBS) nel 1973 fresco di negozio nel quale era da poco arrivato e mi sembrò fin da subito un deciso, grande capolavoro, tra i più innovativi e stimolanti lavori originali di quegli anni ancora contraddistinti dalle avant-gard del free jazz a cui Jarrett "misuratamente", pro domo sua, aderì (impossibile d'altra parte sottrarsi al destino...). Effettivamente con questo doppio disco Jarrett conferma le sue eccellenti doti tecniche e immaginifiche, la sua ricchezza di idee già manifestate nei precedenti dischi Atlantic (nei deliziosi "Birth", A Mourning of a star" ingiustamente meno conosciuti), nel coevo, bellissimo "Facing You" (ECM), e di cui seguiterà a dare prova anche nei dischi Impulse, e in Live, naturalmente (ad Umbria Jazz e Pescara Jazz 1973, poi 1974, miei primi ascolti in concerto - a Pescare '73 c'era anche Miles Davis col suo gruppo - Jarrett mandò il pubblico letteralmente in delirio...). Livelli di immaginazione musicale davvero stupefacenti anche in Exspectations che portano il pianista ad edificare una sorta di vitale, suggestiva mistura - anzi misture - di "stili" in jazz gravitanti intorno alla tenace ed affatto variegata personalità linguistica (forma, stile, espressione) del "nostro", creatore dei più "spiazzanti" umori senza tuttavia mai appaire "stravagante" né formalmente istrionico, men che meno teso verso l'"astrattismo" neppure quando il carattere del brano tende ad un free-jazz esplicito ma sempre jarrettianamente "filtrato". Certamente c'è da pensare che con le esperienze davisiane Jarrett ampli la sua vena creativa, di cui la musica dello stesso Davis fece tesoro, ovvero arricchendo in una, con effetto di reciprocità, anche il paesaggio musicale del trombettista. Jarrett padroneggia le situazioni lasciando tuttavia ampi spazi improvvisativi ai suoi compagni tutti di livello superiore le cui qualità musicali, riconfermate, erano già ben note e dove la "sorpresa", per così dire.., sembra giungere da Sam Brown, un chitarrista attivo anche nel rock che da prova di grande eleganza e musicalità, creatore di tramature armonico-ritmiche di stimolo per gli altri con sue frasi veloci, ascutte, a volte "impressioniste", quasi sharrokiane. Charlie Haden potente come sempre, entrambi, danno prova del loro grande talento dovunque, specialmente mi sembra, nell'articolatissimo, INTENSO brano intitolato "Nomads" (i cinque INIZIALI accordi di piano ribattuti ricordano l'inizio del Preludio op. 3 nr. 2 di Rachmaninov a cui si ispira anche lo "standard" interpretato da Charlie Parker "All the Things You Are" 2
analogico_09 Inviato 4 Luglio 2024 Autore Inviato 4 Luglio 2024 1 ora fa, analogico_09 ha scritto: concordo nella sostanza sulle cose che scrivi su Coltrane ... mai andare di fretta , mi era sfuggito Il 30/6/2024 at 16:03, campaz ha scritto: Dopo la spiritualità, forse un po’ piaciona di A Love Supreme (ho almeno un parente che mi potrebbe togliere il saluto a seguito di questo giudizio semplificativo) 😅 ... madami il cellulare di quel "parente"... 😈
analogico_09 Inviato 4 Luglio 2024 Autore Inviato 4 Luglio 2024 Il 30/6/2024 at 16:03, campaz ha scritto: volevo solo farvi partecipi che sono arrivato più o meno a metà degli ascolti e sto godendo come un riccio. Per questo però hai il mio elogio.., apprezzare anche il Coltrane "free", per così dire, ti fa onore. Purtroppo non pochi sedicenti amanti del jazz preferiscono il Coltrane più easy, creando innaturali scollamenti, anche in questo caso senza capire che tutta la musica di Coltrane si in continuità con la tenace linea tracciata fino alla morte dal nostro, la quale a volte presenta segmenti apparentemente diversi mentre sono parte di un unico quadro che l'autentico appassionato sarà in grado di ricostruire nella sua integrale e "sacraale" unicità. La maggior parte dei detrattori che tengono anche in sprezzo il Coltrane del "1965 e deiìgli anni successivi non sono in grado invero di capire neppure la musica degli anni precedenti, quella del 1961, ad esempio il My Favorite Things di cui costoro apprezzano il motivo iniziale, "valzerato", di immediato acchitto perdendosi quando, arrivati alla lunghe e potenti folate improvvisative che sfociano nel modale, non riescono a seguire le lunge linee improvvisartive durante le quali vengono sovvertiti i criteri armonico-tonali correnti, frantumate le forme di rassicuranti geometrie e le "dolci" melodie... Si va in crtisi.., si spegne lo stero oppure a volte ci si prepara una camomilla...
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